Pochi giorni fa, nel corso del comizio di Donald Trump, il comico Tony Hinchcliffe ha scatenato numerose polemiche definendo Porto Rico “un’isola di spazzatura”, parole che hanno sollevato indignazione nell’opinione pubblica, sia sull’isola sia negli Stati Uniti continentali. Quest’uscita, purtroppo, è solo l’ultima espressione di un rapporto lungo e complesso che, nel corso di oltre un secolo, ha alternato periodi di stretta collaborazione a fasi di aperto contrasto. Ma com’è iniziato questo legame, e perché ancora oggi Porto Rico si trova in una posizione ambigua rispetto agli Stati Uniti?
Dalla dominazione spagnola alla cessione agli Stati Uniti
Porto Rico divenne territorio degli Stati Uniti nel 1898, alla fine della guerra ispano-americana, quando la Spagna, sconfitta, dovette cedere alcune delle sue colonie agli Stati Uniti con il Trattato di Parigi. Da allora, Porto Rico fu trasformata in un “territorio non incorporato,” ovvero un’area che, pur essendo sotto la giurisdizione statunitense, non godeva dei diritti costituzionali completi. Questo status permise agli Stati Uniti di controllare Porto Rico senza doverne riconoscere appieno i diritti politici.
Nei decenni successivi, il governo statunitense favorì lo sviluppo di un’economia basata su coltivazioni redditizie come la canna da zucchero e il tabacco, rendendo Porto Rico un importante centro agricolo e commerciale. Tuttavia, ciò avvenne spesso a scapito della sovranità locale e con scarso beneficio per la popolazione portoricana, che si trovava sempre più legata agli interessi economici di Washington.
La cittadinanza statunitense: una concessione a metà
Nel 1917, con il Jones Act, gli Stati Uniti concessero la cittadinanza ai portoricani, ma anche in questo caso si trattò di una decisione controversa: da un lato, i portoricani ottennero la cittadinanza e poterono essere arruolati nell’esercito, ma dall’altro non acquisirono il diritto di voto alle elezioni presidenziali. Questa situazione paradossale dura tutt’oggi: Porto Rico è rappresentato a Washington da un delegato senza diritto di voto e non ha senatori o deputati con piena voce in Congresso. La cittadinanza, in questo senso, resta una concessione parziale e limitata.
L’uragano Maria e il deterioramento delle relazioni
Nel 2017, l’uragano Maria devastò l’isola, portando alla luce la fragilità di un’infrastruttura già messa a dura prova dalla crisi economica e da anni di scarsi investimenti. La gestione dell’emergenza da parte del governo federale americano fu percepita come insufficiente e superficiale, aggravata da alcuni gesti e dichiarazioni di Trump che molti portoricani interpretarono come un segno di disinteresse e disprezzo.
Durante la sua visita post-disastro, Trump fu criticato per il gesto di lanciare rotoli di carta assorbente ai cittadini portoricani, un’immagine che per molti divenne il simbolo della scarsa considerazione di Washington per l’isola. Questo evento riaccese il dibattito sul futuro politico di Porto Rico e rafforzò, per alcuni, l’idea che fosse necessario rivedere il rapporto con gli Stati Uniti.
Lo status politico e il dibattito sull’autodeterminazione
A oggi, le opzioni per il futuro politico di Porto Rico rimangono tre: diventare uno stato federato, ottenere l’indipendenza o mantenere lo status di territorio. Ognuna di queste scelte ha implicazioni significative: diventare il 51° stato garantirebbe pieni diritti politici ai portoricani, inclusa la possibilità di eleggere propri rappresentanti e partecipare alle elezioni presidenziali, ma comporterebbe anche l’integrazione completa negli obblighi fiscali federali. L’indipendenza, d’altra parte, porterebbe a un’autonomia piena ma comporterebbe anche l’abbandono dei sussidi federali su cui l’isola oggi fa molto affidamento.
Attualmente, l’opinione pubblica portoricana è divisa: alcuni vedono nell’indipendenza la strada per affermare pienamente la propria identità, mentre altri temono l’impatto economico della perdita di assistenza federale. Molti portoricani auspicano una soluzione che porti a un’inclusione paritaria senza mettere a rischio la cultura e l’identità distintiva dell’isola.
Elezioni USA 2024: una speranza per il cambiamento?
Le elezioni presidenziali USA del 2024 sono imminenti e, benché i portoricani residenti sull’isola non possano votare, la politica americana avrà comunque un grande impatto sulla loro vita. Negli Stati Uniti continentali vivono oltre cinque milioni di portoricani, molti dei quali voteranno, influenzati dalle questioni che riguardano Porto Rico. La comunità portoricana guarda con attenzione alle proposte dei candidati sulla politica economica e sul futuro dell’isola, sperando in un leader disposto ad affrontare questioni come la crisi del debito, il miglioramento delle infrastrutture e l’ineguaglianza politica.
L’augurio di molti portoricani è di vedere finalmente una politica statunitense rispettosa, che consideri Porto Rico non solo come un territorio economicamente rilevante o una “responsabilità” politica, ma come una comunità con aspirazioni e diritti legittimi. Molti sperano che il nuovo presidente e il Congresso prendano in mano la questione dello status politico, offrendo finalmente soluzioni concrete per porre fine a decenni di incertezza e disparità.
Porto Rico rimane sospesa tra il desiderio di appartenenza e la volontà di autonomia, in attesa che l’America risponda con azioni concrete, lasciando da parte retoriche divisive. Il sogno di molti portoricani è che il candidato vincente, a differenza di Trump, non veda più Porto Rico come un’“isola di spazzatura,” ma come una parte integrante e rispettata del complesso mosaico della nazione americana.