Nefando è il secondo romanzo della scrittrice ecuadoriana Mónica Ojeda pubblicato da Polidoro Editore; il primo è Mandibula, pubblicato nel 2021, entrambi tradotti da Massimiliano Bonatto.
Siamo a Barcellona dove sei ragazzi condividono un appartamento: Kiki Ortega messicana di origine, studentessa di lettere e aspirante scrittrice; Il Cuco Martínez, hacker e grande conoscitore del deep web, amante della letteratura fantascientifica e distopica; Iván Herrera, studente universitario, ombroso e solitario, appassionato di poesia e letteratura; i fratelli Terán, Irene, Emilio e Cecilia, così inseparabili da formare un’unica identità, come un mostro tricefalo.
I capitoli sono suddivisi dal punto di vista dei protagonisti, ed è interessante notare come la voce narrante sia in continua evoluzione: prima persona, terza persona, narratore interno, esterno e così via.
La trama del romanzo è ben chiara: i fratelli propongono a Il Cuco di creare un gioco singolare da caricare nel deep web, questo sarà il pretesto scatenante che metterà in atto una serie di riflessioni molto profonde, disturbanti e scomode, lo dice la stessa Kiki (che non fatico a riconoscere come l’alterego dell’autrice).
“Era necessario pornografizzare la vita per dire quello che l’inesistente copertura-culla-di-ogni-cultura non osava pronunciare. Scrivere era il modo che aveva di puntare il dito”.
Puntare il dito sul linguaggio, quello usato nella letteratura e nella poesia che non dà risposte ma solleva domande; sul linguaggio della programmazione, quello che Il Cuco identifica come linguaggio dell’azione, della disobbedienza civile che si muove nel deep web, un non-luogo, uno spazio di libertà che l’essere umano ha creato rendendolo un calco del sistema-mondo dove è possibile essere incorporei, abbandonare per qualche istante un corpo che ci ricorda la bestialità umana impossibile da sradicare attraverso la tecnologia.
Essere umano significa conciliare il conflitto interiore tra l’uomo e la bestia, l’intelletto e l’istinto, la vita e la morte, e se vogliamo accogliere il riferimento dell’autrice alle divinità atzeche, tra Quetzalcoalt e Tezcatlipoca nonostante l’educazione cristiana impartisca lezioni sul linguaggio che si fa carne attraverso l’amore sottomesso, dove si deve attraversare il dolore per raggiungere l’estasi purificatrice e soffrire, proprio come godere, è un eccesso che ci riconduce alla corporalità.
Ma in fin dei conti, in cosa consiste Nefando?
Nefando è un ambiguo gioco voyeur, dove avere pazienza e assistere a quello che (non) succede è una componente importante per la ricerca del suo significato, quello che conta non è la verosimiglianza ma la possibilità che la verità esista, è uno spazio di esplorazione personale, un percorso poetico, un libro di letture multiple dove il fine è la creazione stessa.
Nefando potrebbe essere tranquillamente il pornoromanzo di Kiki, scrivere è il suo unico modo di stare al mondo ed esorcizzare la sua infanzia, dimenticarla dentro un baule e perdere la chiave.
Oppure potrebbe essere la dedizione alla distruzione che esercita ogni giorno Iván contro sé stesso, dibattuto tra le sue due identità, Quetzalcoalt e Tezcatlipoca, che lo inducono a non riconoscere il proprio riflesso in uno “specchio nero fumante”, a non riconoscersi nella sua pelle e allo stesso tempo sentire di avere organi fantasma, casperini, mentre tramite la mutilazione cerca un modo per liberarsi dal suo falso io.
Nefando potrebbe essere la comprensione tra Il Cuco e i fratelli Terán, che attraverso i traumi e gli orrori della loro infanzia provano a esercitare il diritto di “tirare fuori dalle fogne la feccia del mondo e risemantizzarla” dimostrando quanto l’umanità sia mostruosità, quanto la natura sia oscura e bestiale, quanto l’infanzia abbia parole imprecise, un balbettio che gli adulti non sono disposti a comprendere, uscirne illesi è impossibile, l’unico sdoganamento sarà crescere e “mangiare i propri genitori” privandoli dell’autorità.
Nefando è creare una vertigine in pixel, è decostruire il proprio pensiero per comprendere che quello che crediamo di conoscere è una serie infinita di equivoci.
Rubo le parole dell’autrice Mónica Ojeda perché trovo difficile definire in altro modo il suo libro: Nefando è “un romanzo sulla crudeltà, un romanzo destinato a perturbare”.
Sandra Cuneo