Parlo di tenerezza, compagno.
Lei non sa […]
A Santo Domingo è una giornata di aprile, pieno mezzogiorno. Una giornata di pioggia, ma le piccole gocce imprudenti non aderiscono al suolo. A Santo Domingo prima piove a dirotto e poi spunta il sole, per bruciare ogni cosa; poi piove di nuovo e l’acqua scende per depositarsi, insinuarsi tra le crepe delle strade e «crea quella melassa di piccoli e impercettibili dolori ma decisamente precisi».
Con una serie di immagini tra di loro in eterno conflitto, separate da una distanza che segna il sottile confine su cui si muove una penna delicata quanto scrupolosa, l’autore dominicano Rey Andújar definisce la fragile geografia abitata dai personaggi del suo primo romanzo pubblicato in Italia, L’uomo triangolo, edito dalle Edizioni Arcoiris, con l’impeccabile traduzione di Barbara Flak Stizzoli e accompagnato dalla pregevole postfazione di Andrea Corona.
Il libro ripercorre la storia del Tenente Pérez, ufficiale dell’esercito dominicano, la cui vita si svolge nei centri del potere della capitale dello Stato; la sua carriera è elogiata dalle medaglie onorifiche appuntate su una divisa quotidianamente tirata a lucido e dalla devozione dei soldati sotto il suo comando, che eseguono i suoi ordini senza farsi domande. Un giorno, la sua attenzione viene catturata da uno strano evento, avvenuto tra le strade della città: due ufficiali dell’esercito fermano un uomo. Egli correva nudo, in uno stato di apparente delirio e scioccato dalla luce solare. Durante l’interrogatorio, non rivela il suo nome, anzi, si perde in un dialogo con il protagonista: parole percepite come deliranti riescono invece a scavare nell’interiorità di Pérez, lasciandolo per la prima volta indifeso. Quest’ultimo ordina la sua reclusione e mentre viene portato via, il misterioso individuo si gira, rivelando la sua identità; sono l’Uomo Triangolo, dice. Per poi sparire.
Lo stato d’animo tormentato di Pérez scandisce una narrazione che si sviluppa sullo sfondo degli spazi che si succedono nelle sessantaquattro pagine del libro: il Palazzo di Polizia, le carceri, i riformatori, le scuole militari, la Centrale, il bagno di un locale notturno, raccontati con una scrittura laconica che non indugia in particolari dettagli, riconsegnano a chi legge l’idea di un mondo frammentato, frutto della proiezione – come suggerisce Andrea Corona – dello sguardo disincantato del protagonista e della sua realtà in cui presente e passato coesistono, uniti in una relazione di interdipendenza necessaria per mantenersi vivo nel contesto in cui Rey Andújar lo inserisce.
Pérez, infatti, non è un eroe, la sua quotidianità e il suo atteggiamento non costituiscono alcuna eccezionalità rispetto, se così lo si vuole intendere, allo stereotipo dell’uomo d’armi: machista, autoritario, si macchia di episodi di violenza e sopraffazione, i quali sono a loro volta lo specchio di quelle ferite mai rimarginate. Ad ogni modo le sue azioni gli conferiscono quell’aura di virilità che consolidano la sua autorità. È dunque perfettamente incastrato in quella che è convinto sia l’unica vita possibile per lui.
Osservarlo muoversi nel suo universo, che egli stesso si ritaglia, è un’immagine che potrebbe assumere un sapore conosciuto se messa in rapporto con le nostre esistenze, anche con le volte in cui il ripetitivo flusso delle cose, delle convenzioni, del dolore, dei sommessi e fugaci slanci, diventa una corrente che ristagna e in cui magari ci illudiamo che questo ci basti, sotto quel cielo di carta che ci si impegna a costruire e poi a proteggere, al cui cospetto si concede uno spazio contenuto anche alle fragilità, in questo caso le notti di sesso con Rotunda che non sono il trionfo della mascolinità, ma il momento in cui egli si confida, infine, l’abuso di alcol; entrambe le cose per cercare di riavvolgere i pensieri in una matassa che sia il più ordinata possibile, talvolta per annebbiarli.
L’incontro con l’Uomo Triangolo per quel cielo ne è lo squarcio; in una notte si ritrovano al bancone di quel sudicio bar dove Pérez è solito andare. Questa volta non ci sono i suoi uomini, la sua autorità a proteggerlo. Le parole fluiscono. Un drink dopo l’altro, poi il bacio, che si rivela l’innesco in grado di condurre il lettore a ciò in cui Pérez ha riposto ogni speranza della sua esistenza: l’oblio.
Le esistenze a esso consegnate sono due: quella personale di Pérez, soggiogato dai lampi dei ricordi di una tragedia, la quale porta con sé un bagaglio di rimpianti; la seconda è quella di Santo Domingo, sulle cui spalle si ritaglia un passato di violenza che guarda a cruenti e non sospetti anni, i quali ancora continuano a determinarne le sorti, le sue e di quelle delle sue figlie e figli.
Si viene dunque a tessere in maniera sapiente una tela, attraverso la quale Reynolds Andújar, che apparentemente riconsegna a chi legge una storia fisica e materiale, si abbandona a un processo di analisi e decostruzione dei suoi personaggi, costretti in una morsa a contemplare l’amarezza di una tenerezza impossibile, se non per piccoli istanti, e sottratta in partenza dalle circostanze: un soldato che ha perso la sua famiglia da un giorno all’altro, a cui è precluso l’amore, una prostituta che sogna l’Europa, che non le darà una possibilità di vita tanto diversa da quella da cui lei proviene, un pazzo che parla d’amore destinato a vivere ai bordi delle strade fino alla fine dei suoi giorni, per ricalcare, attraverso le loro esistenze, l’anatomia della città triste che gli fa da sfondo, oppressa dal sole e dalla pioggia e che inerte osserva il suo diffuso declino.
Claudia Putzu