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Campania ispanoamericana – Consigli di lettura

Sommario

Inserendomi nel solco della “Classifichina dei 5+1 migliori racconti latinoamericani che ho letto nel 2023″ stilata da Valentina Presti Danisi, sono lieto di fornire a mia volta un parere su alcuni titoli tradotti e pubblicati nel corso dell’ultimo anno. E lo faccio da esperto di editoria campana, la quale registra una crescente attenzione nei confronti della narrativa e del pensiero letterario ispanoamericano.

Una felice tendenza che ha visto, da febbraio a novembre, una serie di saggi e romanzi tra i quali segnalo, per i lettori di «Latinoamerica Pop!», Ti vendo un cane di Juan Pablo Villalobos (CentoAutori, Napoli), Per favore, plagiatemi! di Alberto Laiseca (Wojtek, Napoli), Farmaco di Almudena Sánchez (Polidoro, Napoli), Bestiole di Kianny N. Antigua (Arcoiris, Salerno), Furia di Clyo Mendoza (Polidoro) e L’uomo triangolo di Rey Andújar (Arcoiris).

Per favore plagiatemiPer favore, plagiatemi! (volume uscito a marzo con la traduzione di Loris Tassi, per la collana Ostranenie curata da Federica Arnoldi, Luca Mignola e Alfredo Zucchi per Wojtek) tratta del rapporto tra la scrittura e la morte, in quanto, come rileva l’argentino Laiseca, gli autori che ammettono a fatica l’esistenza di predecessori che li abbiano influenzati ricordano quei discendenti che tacciono di un parente morto di cancro, dacché la consapevolezza della trasmissibilità ereditaria può diventare un concetto annichilente al pari di una malattia paralizzante.

 

 

 

 

lUOMO TRIANGOLO cover sito

Bestiole

Il plagio e l’auto-plagio dichiarati divengono allora simbolo della distruzione della dimensione egoica sostanzializzata e autosufficiente; e se riscrivere è darsi la morte in vita pur ritornando sulle medesime questioni, ecco che da un lato i racconti di Bestiole, in cui sono presenti «diverse forme […] di morire in vita», e dall’altro lato il trauma passato, la connotazione invalidante del pensiero ricorsivo e le fantasie suicidarie del tenente Perez protagonista de L’uomo triangolo, tematizzano a proprio modo delle questioni affini. Nei testi dei dominicani Antigua e Andújar (entrambi tradotti da Barbara Flak Stizzoli e usciti rispettivamente a maggio e novembre per la collana Caribe di Arcoiris) si ritrovano a un tempo una pars destruens e una pars construens nella misura in cui il raggiungimento dello statuto identitario passa per la soppressione del Sé abusante e auto-abusante, in vista di un nuovo Sé psicologicamente comprensivo degli anteriori comportamenti nocenti.

Farmacoti vendo un caneFarmaco di Almudena Sánchez (uscito a maggio e tradotto da Marta Rota Núñez per la collana I selvaggi di Polidoro) pure offre un esempio in tal senso, per una storia in cui la depressione diventa non solo portatrice di pensieri intrusivi («La prima volta che ho pensato alla morte, avevo sei anni») ma anche occasione di deflagrazione e rivolta. Analogo afflato, quello dell’uomo-rivoltante che fa del pensiero e soprattutto delle azioni un ordigno destituente, si ritrova nei romanzi chicani Ti vendo un cane di Juan Pablo Villalobos (uscito a febbraio con traduzione di Giuseppina Imperatrice per la collana Migrazioni di CentoAutori) e Furia di Clyo Mendoza (uscito ad ottobre, ancora per I selvaggi, con traduzione di Massimiliano Bonatto), ambientato sullo sfondo della Rivoluzione messicana.

furiaCosa regalano al pubblico nostrano, dunque, la narrativa e la saggistica latinoamericana? Certamente una concezione meno bugiarda della letteratura (si ricordi, con Dante e Leopardi passando per Foscolo e Petrarca, che quando la poesia si allontana dalle sue fondamenta altissime, quando si fa nemica della filosofia, diventa fascinosa menzogna e nube dilettevole e variopinta). Ben lontana dal rivestire una funzione consolatrice è infatti la poetica di Laiseca come di Villalobos e Andújar, di Antigua come di Sánchez e Mendoza: l’onirico e il visionario, così pregnanti in questi autori attraverso incubi e allucinazioni, lungi dal rappresentare una cesura dal reale, intervengono a ricordare, al contrario, che dietro la “finzione” c’è un “fatto”. Dietro ma anche oltre, dal momento che finzione e fatto hanno la loro derivazione da fingere/fictum e faciere/factum, ossia da un fare che non potrebbe esser fatto se non fosse prima immaginato, e che si dà quindi come rivoluzionario.

Così come le stanze disfatte de L’uomo triangolo o del racconto Topi dell’antologia Bestiole necessitano di essere rifatte, così come il condominio di Ti vendo un cane è esso stesso un disfacimento bisognoso di rifacimenti, e così come il plagio è a sua volta un rifacimento, la destrutturazione – dell’io come della società – è prodromica di una ristrutturazione; e dunque: se la narrativa nella mente dello scrittore è una finzione, gli apparati militari e paramilitari di Città del Messico e Santo Domingo sono però reali, la violenza è reale e la letteratura ispanoamericana, parlando di oblio per non fare oblio, si propone allora, in ultima analisi, come riflessione e fabbricazione di un mondo socialmente più civile e politicamente più cosciente di sé.

Andrea Corona

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