“Tony Manero” di Pablo Larraín (2008)
– Professione? Occupazione?
– Questo.
– Questo che?
– Lo spettacolo.
Cile 1979, Raúl Peralta, 52 anni, vive per interpretare il suo idolo Tony Manero.
Conosce a memoria le battute di Saturday night fever e passa le giornate a provarne le coreografie.
Raúl compie azioni criminali. Il suo unico interesse è realizzare uno spettacolo ispirato al film insieme ad alcuni sgangherati compagni. Non c’è niente che non farebbe per avere successo e allo stesso tempo riesce solo a trovare soluzioni misere per raggiungerlo. La povertà di mezzi, la tensione ossessiva, la sua incapacità determinano una progressione di brutalità e spietatezza.
Nel frattempo, poco importa se gli agenti del regime di Pinochet minacciano, picchiano e uccidono gli oppositori (o i presunti tali) per la strada.
Colori spenti, con sfumature predominanti di grigi e marroni, evidenziano che il mondo di Raúl è quanto di più lontano dalle luci delle discoteche dove balla il suo mito.
“Quello è uno yankee.
Tu non lo sei.
Tu appartieni a questo posto”.
Larraín realizza un film senza pietà. Il sogno di successo e riscatto divora colui che lo sogna. Dedizione e speranza non esistono se non nelle loro varianti patologiche.
La dittatura apparentemente rimane sullo sfondo eppure è l’aria che i personaggi respirano, l’opacità del cielo di Santiago del Cile.
Laura Bucciarelli