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Un quaderno può essere una Via Lattea di lettere; ideale, se non c’è nessun incidente, nessun disastro e nessuna catastrofe: la sicurezza di nuotare in diagonale, in quel mare disegnato tra le righe, che contengono frasi, parole che non si pronunciano, strutture che non seguono regole grammaticali, né uno stile di scrittura definito. Per la voce narrante, un modo per cambiare forma, esprimersi senza riserve, senza retoriche, soprattutto senza pensarci troppo e, magari, un modo per provare a evadere come se tra quelle pagine la barchetta potesse essere in grado di portarla lontano, solcando l’azzurro di quelle linee stampate su carta.
brenda lozano intMa quell’evasione ha una finalità: ritrovarsi, studiare la propria soggettività. Questo ci porta a partire non tanto da ciò che l’autrice scrive, piuttosto da ciò che non racconta: i due personaggi che ci accompagnano nella storia, ossia lei, voce narrante, e il suo fidanzato Jonás, hanno qualcosa in comune ed è un evento che segna un processo interrotto. Nel caso della narratrice, parliamo di un incidente che l’ha ridotta in uno stato di coma; nel caso di lui, la morte di sua madre. Entrambi hanno raggiunto, in questo riprendo le parole dell’autrice, il fondo di se stessi, una battuta d’arresto che fa paura, che porta allo smarrimento, dunque alla necessità di ritrovarsi, in un percorso che – nella maggior parte dei casi – non vuole testimoni. Ma, mentre qualcuno se ne va, qualcun altro resta ad aspettare: è proprio ciò che succede in queste pagine in cui ci avventuriamo insieme alla protagonista e alla disinvolta, enigmatica, scrittura di Brenda Lozano, in una storia fatta di attese. Questo è Quaderno ideale, il nuovo romanzo dell’autrice messicana, pubblicato da Alter Ego Edizioni nella traduzione di Giulia Zavagna.
La mamma di Jonás era morta da poco e lui e la sua famiglia decidono di onorarla, tornando in Spagna, per un viaggio atto a ripercorrere i luoghi da lei amati in vita. E forse nei chilometri macinati in quel Paese oltre oceano, lui aveva riposto la speranza di farcela, di poter venire a patti con quel dolore che lo stava lacerando dentro e non gli consentiva di condurre una vita serena, mentre lei è sospesa tra la voglia di proteggerlo, di ridargli ciò che ha perduto e la consapevolezza di non poterlo fare, nemmeno di poterlo guarire, per quanto fosse sempre stata ancorata a quell’abitudine di scorgere il lato positivo nelle sventure, che altro non è che un meccanismo di difesa, nel nostro caso il metro più efficace, per misurare la distanza tra i due, soprattutto in quel determinato momento della loro vita e ciò che rende necessaria quella temporanea separazione di cui, per quanto sia difficile da accettare da parte della protagonista, di non essere ammessa nei silenzi del suo compagno, nella sua sofferenza, può solo prendere atto. Eppure quel viaggio segna la fine di un capitolo e diventa l’inizio di tanto altro anche per lei, di un percorso interiore, in cui si vede costretta a osservare il presente, unica fragile sicurezza di fronte a ritorni non garantiti, rispetto a un passato messo in discussione, e nell’attesa inizia a tessere pazientemente una tela fatta delle sue parole, che in quel quaderno comprato in una cartoleria, tascabile, si uniscono e si disfano, “in ogni luogo, in ogni momento, di fronte a qualunque caduta, grave o lieve che sia”, si intrecciano e costruiscono immagini, danno voce ai pensieri più reconditi che sanno di nostalgia, rabbia, sconforto e diventano liberatrici e che poi si riplasmano e si trasformano.
Anche il lettore è invitato a prendere parte a questo viaggio “venti leghe sotto il quaderno”, a fare i conti con una narrazione frammentata, che cerca se stessa, in cui si raccontano episodi legati insieme in maniera talvolta capricciosa, ma in grado di ritrarre perfettamente il clima di incertezza, in cui l’assenza di lui l’ha bandita. E in seno a questo vuoto lasciato da un personaggio in contumacia ma presenza costante, che si sfoga sulle righe di un quadernino che la protagonista porta con sé ovunque, viene a crearsi uno spazio narrativo in cui questi episodi si riuniscono in una “sala d’attesa”, custode di un caleidoscopio di sensazioni, ansie, dolori, profumi, lettere, insomma un caleidoscopio in cui è imprigionato ciò che si vuole proteggere dal mondo: il lavorare su se stessi, una storia che finisce ma non finisce, l’inutile, studiare, andare al mercatino delle pulci, ancora di più la perdita. E non importa sia temporanea, perché riesce a dominare ogni pensiero. E in Quaderno ideale Lozano riesce a rappresentare tutto nella maniera più umana possibile, ricorrendo anche a riferimenti letterari alquanto significativi che intensificano quella sensazione di staticità data dell’attesa interminabile, mentre riesce a rappresentare quei momenti della vita in cui siamo passati tutti, quei pesi che abbiamo portato sulle spalle e quei piccoli passi che abbiamo mosso per guarire, per permettere a quelle storie di trasformarsi, e magari non hanno neanche avuto il finale che ci aspettavamo, ma che possiamo farci? Dopotutto, il quaderno ideale, dove non c’è nessun incidente o nessuna catastrofe, non esiste.

Claudia Putzu

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