Il mondo delle lettere ha perso una delle sue voci più autorevoli: Mario Vargas Llosa si è spento ieri lasciando un vuoto immenso nella letteratura contemporanea. Scrittore, saggista, intellettuale militante, premio Nobel per la Letteratura nel 2010, Vargas Llosa è stato un gigante capace di raccontare con acume e passione le contraddizioni, le violenze e le speranze del mondo latinoamericano — e non solo.
Nato a Arequipa, in Perù, nel 1936, Vargas Llosa ha esordito nel 1963 con La città e i cani, romanzo esplosivo e fortemente critico verso l’autoritarismo militare, ambientato in un collegio di Lima. Da allora, la sua penna non ha mai smesso di scavare nelle tensioni della società, esplorando temi come il potere, la corruzione, il desiderio e l’identità, con uno stile elegante, lucido, e allo stesso tempo impetuoso.
Autore di capolavori come La casa verde, Conversazione nella cattedrale, La guerra della fine del mondo, Il sogno del Celta e Avventure della ragazza cattiva, Vargas Llosa ha attraversato generi ed epoche, mescolando cronaca, storia e finzione con una maestria rara.
Il suo nome non è legato solo alla narrativa. Intellettuale impegnato, spesso polemico, ha partecipato attivamente al dibattito pubblico e politico. Dal socialismo giovanile al liberalismo maturo, dal fallito tentativo di diventare presidente del Perù nel 1990 fino ai suoi editoriali taglienti sul El País, ha incarnato la figura dello scrittore-cittadino, sempre disposto a esporsi, anche a costo di attirarsi critiche feroci.
Oltre al Nobel, Vargas Llosa ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali e le sue opere sono tradotte in decine di lingue. La sua scomparsa chiude un capitolo luminoso della letteratura mondiale, ma lascia un’eredità culturale viva, capace ancora di stimolare, emozionare, far riflettere. I suoi romanzi continueranno a raccontare la complessità dell’animo umano e delle società che attraversano il tempo, ricordandoci che la letteratura — come amava dire lui stesso — è un esercizio di libertà.