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La mia copia di Cenere in bocca è piena di segni, di sottolineature, di schizzi e di asterischi. No, non è così che iniziano le recensioni. Riprovo.

Brenda NavarroCeniza en la boca, il secondo romanzo dell’autrice messicana Brenda Navarro, esce a Città del Messico nel 2022 per Sexto Piso, casa editrice indipendente. Ed è un’altra editrice indipendente, la romana La Nuova Frontiera, a pubblicarlo nell’autunno del 2023 nella traduzione italiana di Gina Maneri.

Diego García, quindicenne, si getta dal quinto piano: Diego che ha voluto essere fragore, che ha voluto interrompere la musica del suo corpo. Chi narra è la sua sorella maggiore, il cui nome non viene mai detto. Sono messicani. Di recente hanno raggiunto in Spagna la loro madre, che da molti anni è a Madrid per lavorare, per una vita migliore, che è partita dal Messico affidando ai nonni i due bambini. Affidando il piccolo Diego alla sorella, alla voce che narra, solo che anche lei era una bambina: Devi essere una donnina forte, perché ormai sei una donnina, vero? Sì, certo che lo sei. Voi restate qui e io vado via, ma non per sempre.

In Spagna la madre fa i lavori duri, fa i lavori in nero; la figlia e il figlio la rivedono a Madrid per la prima volta da quando è partita, cioè dopo nove anni, e la città è diversa da come si aspettavano, faceva freddo e faceva caldo al tempo stesso, una città che non capiscono e non li capisce. E incontrano un’Europa noiosa e vecchia e sola e una violenza meno visibile ma altrettanto crudele di quella che dilania il Messico: un tipo diverso di violenza, pretendere lealtà mentre ti fanno pezzettini perché non sei come loro. Bullismo, razzismo, emarginazione e sfruttamento. Da quando eravamo arrivati in Spagna eravamo come amputati, ma senza diagnosi. Poi la protagonista, questa voce narrante di cui non sappiamo il nome, si trasferisce a Barcellona per cercare la sua strada. Ed è a Barcellona che apprende del suicidio del fratello, giù dalla finestra, a Madrid, nell’appartamento in affitto in cui vivevano con la madre. Così torna prima a Madrid poi in Messico, per riportare le ceneri di Diego a casa dei nonni. Io ti amavo, ma tu amavi il mare. Chi piangerà per me se sono tutti occupati a piangere per te? E in Messico troverà un mondo assai più violento e iniquo di quello che aveva lasciato: un mondo di rapimenti, sparizioni, decapitazioni.

Nel corso del romanzo la voce va e torna, tra peripezie e memoria, a quell’evento centrale che è il suicidio di Diego. Parla con lui, parla con la madre, racconta momenti di vita – momenti terribili ed episodi buffi, situazioni surreali e sprazzi di gioia – e narra del conforto illusorio del sesso, delle donne latinoamericane che lavorano in Spagna e di chi sfrutta il loro lavoro e le chiama panchitas, del finto progressismo di molti. Del ritorno in Messico, di parenti e amiche e vicini lasciati e poi rivisti, o perduti, in Messico. Ci abbracciammo, ma senza abbracciarci. Della domanda Di dove sei?, che spesso le rivolgono a Madrid e della risposta che ha dentro di sé, Sono del posto in cui vivo. E torna a rivolgersi a Diego, a sua madre poi a Diego, va avanti e indietro nel tempo, nel vieni e vai dei pensieri, quasi parlasse a se stessa: è una voce cruda e secca, sembra quieta ma ogni tanto prende fuoco.

Se continuo a chiamarla voce anziché dire “io narrante”, narratrice o protagonista, o simili, è per un motivo semplice: è che questa voce priva di nome è una voce che non si può dimenticare. E perché attorno a lei, nel romanzo, risuonano voci di altre donne ed è davvero come udirle, anche se le leggiamo scritte. Donne di diverse provenienze, con storie e voci diverse, le varianti dello spagnolo parlato in America latina, lingue come tessuti cicatriziali, una selva di voci. È un romanzo che parla di violenza, anzitutto della violenza sulle donne. E della vita (Io vengo da dove vivo) e della morte. Ed è un romanzo corale.

Ed è un libro pieno di storie e pieno di musica, che si legge con gioia anche se ci sono dentro dolore e rabbia. Perché in noi dolore e rabbia e gioia stanno assieme, e chi ci ha insegnato a farne passare uno alla volta è lo stesso che ci ha insegnato a disprezzare, a reprimere, ad annodare la rabbia – è il nemico, è il potere. E i libri come Cenere in bocca sciolgono quel nodo. E trasformano quella miscela di dolore e gioia e rabbia in energia. In visione politica. In ascolto.

C’è anche l’e-book, ma io ho comprato il cartaceo (in una libreria indipendente, come sempre) e sono 185 pagine, 17,90 euro, e in copertina c’è un’immagine (opera di Marco Brancato) che ogni volta che la guardo mi stupisce: una stanza, una donna sdraiata su un divano e un’ombra in piedi nel riquadro di una finestra, è proprio lei, mi dico, è questa donna di cui non so il nome ma la conosco, è una voce che ascolto mentre leggo. Un prodigio mica da poco, scrivere voci. E poi, un lavoro di traduzione di grande valore.

Ci ho messo tre giorni a leggere Cenere in bocca, e interrompere la lettura è stato molto duro; ma ogni tanto dovevo, c’erano cause di forza maggiore, cose da fare, il tempo. Ecco il perché delle macchie sulla mia copia, e dei segni e degli asterischi, cioè del rincorrere voci con i miei scarabocchi.

Silvia Tebaldi

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