A pensarci bene, l’abitudine di fare visita al luogo
in cui riposano le ossa delle persone che amiamo è assurda,
ma nella vita errabonda che avevamo sempre condotto,
la mia famiglia era stato il mio unico nido,
la mia unica tana.
La vita altrove (La Nuova Frontiera) è una raccolta di otto racconti che esplorano a fondo le complesse – e talvolta sfuggenti – dinamiche familiari, costituite da relazioni spesso disfunzionali, intrise di segreti inconfessabili, tradimenti e aspettative mai del tutto soddisfatte. Grazie alla penna precisa, acuta ed estremamente sensibile di Guadalupe Nettel, il lettore è in grado di catapultarsi all’interno di uno spazio al confine tra sogno e realtà, in bilico tra il concreto e l’immaginario, tra il brutale e il meraviglioso, immergendosi e immedesimandosi profondamente nelle storie di personaggi del tutto comuni, vittime di situazioni improvvise, inaspettate, seppur tremendamente vere, ordinarie, umane.
Tra i protagonisti di questi racconti vi è, ad esempio, un attore frustrato che invidia mortalmente un suo vecchio compagno di classe, il quale sembra – ma soltanto in apparenza – vivere la vita dei suoi sogni. Vi è anche una giovane nipote che incontra per pura casualità uno zio ostracizzato dalla sua famiglia, ricoverato in ospedale per una malattia terminale; o ancora una bambina che vaga alla ricerca sfrenata di albatros, ovunque lei vada (e, a tal proposito, è bene rammentare il titolo originale dell’opera di Nettel, Los divagantes, che significa letteralmente “i vagabondi”). E ancora, man mano che sfoglia le pagine di questo libro prezioso e quantomai vero, il lettore viene a conoscenza di aneddoti singolari ma al contempo vicini a ognuno di noi. Basti pensare alla storia di un sessantacinquenne, la cui relazione coniugale sta disastrosamente tramontando, alla ricerca della compagnia di una prostituta in cui poter trovare amore e consolazione; a quella di una madre che, finito il lockdown, si ritrova, durante una passeggiata in montagna, a riflettere sulle problematiche familiari che coinvolgono il marito e i suoi due figli; o anche al racconto di un orfano che cerca disperatamente un uomo scomparso e di un albero secolare affetto da un fungo, la cui morte segna la nascita della storia di un’intera famiglia. E, infine, veniamo a conoscenza di una donna che si ritrova a vivere nel più completo torpore (che è poi il titolo del racconto di cui è la protagonista), in un mondo morente, agonizzante, in cui l’unico anestetico, l’unico rimedio utile alla sopravvivenza è rappresentato dal sonno.
Come in Bestiario sentimentale, anche ne La vita altrove sono presenti numerosi e affascinanti – nonché interessantissimi – parallelismi tra la vita umana e quella degli esseri sia animali che vegetali, poste in costante dialogo tra loro e volte astutamente a far emergere interconnessioni spesso impensate tra universi lontani solo in apparenza, tuttavia estremamente vicini. E gli abitanti di questi mondi sono alla ricerca costante di una vita altra, di un’esistenza che sia al di là delle proprie frustrazioni, dei propri fallimenti, in cui i silenzi familiari possano finalmente venire colmati, e in cui riconoscere delle radici solide su cui piantare nuovi frutti. E, nel tentativo di realizzare questo progetto, ciascuno di essi non è altro che un essere divagante, condannato a un perpetuo – nonché obbligato – errare. Probabilmente il messaggio che questi meravigliosi racconti si propongono di dare è che forse ognuno di noi, in un dato momento della sua vita, sente il bisogno di errare, di perdersi per poi ritrovarsi, di concedersi il tempo necessario affinché, un giorno, possa essere più clemente con sé stesso, accettando la sua vita senza ripudiarla per una possibile esistenza altra, a suo giudizio migliore. Ancora una volta, dunque, Nettel spalanca lo sguardo del lettore su una verità assoluta: accettare la vita che ci è destinata, a volte, ci fa più bene che male e ci dona la pace di cui abbiamo bisogno e a cui spesso rinunciamo guardando e desiderando le vite altrui. Talvolta è proprio il nostro piccolo nido a renderci felici. Abbiamo tutto qui, cercare altrove non serve.
Sara D’Antoni