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L’atroce storia di Santos Godino, María Moreno

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«Quando il cimitero di Ushuaia venne spostato, cercarono le sue ossa. Non c’erano».

Un fantasma si muove per le strade di Buenos Aires e tra le pagine di questo bellissimo libro di María Moreno – L’atroce storia di Santos Godino, El Petiso Orejudo, (Edicola, 2024, traduzione di Francesca Lazzarato) – ed è il suo protagonista, il più famoso serial killer della storia argentina: Cayetano Santos Godino. Si muove, si agita in città come leggenda, come fatto di folclore, come una processione, come una tradizione, perché tra ricordo e mito la sua figura continua a essere trasportata, rappresentata. Balla tra le pagine di Moreno che è una scrittrice straordinaria (giornalista, saggista, poeta), capace di studio e di sguardo, capace di indagare con le parole. Straordinaria perché per raccontarci una storia vera, dei fatti accaduti, per entrare nella mente e nei gesti di una persona che è stata a lungo osservata, che è ancora oggetto di studio, usa il suo talento immaginativo. Così risponde alla prima legge della letteratura che spiega meglio di qualunque cosa la realtà, e la letteratura – e ricordiamo ancora una volta il grande Rodrigo Fresán – ha sempre bisogno di una parte inventata «che non è mai la parte disonesta». L’invenzione spiega, fissa meglio un punto, l’immaginazione chiarisce, la fantasia risponde sempre all’onere della prova.

«Si chiama Cayetano Santos Godino, ma ha un alias con varianti. El Oreja o El Petiso Orejudo. Anche se privilegiato dalla morbosità popolare e prova cantante e sonante della scienza positivista, non è altro che un infelice, i cui delitti potrebbero essere definiti autentiche prodezze […]».

Tutto accade agli inizi del Novecento (d’altronde tutto è accaduto nel Novecento). Nel 1902, Cayetano Santos Godino, figlio di poverissimi immigrati calabresi (una storia familiare comune) viene arrestato, accusato di undici crimini. Ha appena sedici anni, da lì in avanti – come già accennato – diventerà oggetto di studi scientifici (e non solo) fino alla sua morte e anche dopo. Morirà in una prigione misera, ai confini del mondo. La maestria di Moreno sta nell’aver scelto di raccontare la vicenda di Godino unendo sotto una sola grammatica, una lingua precisa: cronaca, saggio, romanzo e poesia. Moreno fa letteratura di altissimo livello, altrimenti di questa storia, che ci pare ora così interessante, non ci importerebbe nulla. Godino sarebbe un serial killer come tanti e gli dedicheremmo poca attenzione. Ma Godino sta in un libro, in un bellissimo libro, e allora diventa il personaggio che non dimenticheremo. Così come la sua figura non è stata dimenticata a Buenos Aires e nel resto dell’Argentina.

«[…] La figlia del Ñato è la più umile tra i fotografati: l’hanno lasciata posare con il grembiule scolastico, come se i genitori si rendessero conto che il Commissariato di Polizia non è un luogo simile a quello in cui il reverendo Lewis Carrol ritraeva Alice».

Maria Moreno scaledMoreno raccontando la storia di un criminale feroce e misterioso e famoso, racconta anche la società del tempo e, inevitabilmente, quella di questo tempo. Una società, ci mostra Moreno, incapace di accettare qualsiasi manifestazione di diversità, rifiutandola con violenza, disprezzo. È sempre molto comodo e semplice indicare come mostro, strano, orribile chi vive ai margini, ampliando quei confini e relegando a distanza chiunque non ci somigli.

Moreno ha di frequente anticipato le tendenze della scrittura argentina, si è sempre mossa in maniera inquieta ma rigorosa, non si è mai accontentata di essere un solo tipo di autrice, di scrivere usando una sola cifra. In questo libro incatena, incanta, le lettrici e i lettori, perché li serra in una frequenza a tratti ipnotica, a tratti musicale, li conduce di capitolo in capitolo con squarci di poesia. Francamente, L’atroce storia di Santos Godino, stando al crimine, ne commette uno bellissimo, quello di insegnare e di ricordare quante siano le possibilità della scrittura. Così che il fantasma del Petiso Orejudo possa ballare dal Novecento a noi, in una Buenos Aires cupa, fatta di pietra e case, di miseria, di tensioni politiche. Una Buenos Aires che accoglie gli immigrati non sapendo farlo, una Baires che emargina e subisce. Una Buenos Aires di gente ammazzata. Una Buenos Aires criminale in cui un ragazzo prima di capire che avrebbe potuto essere mille cose ne diventa solo una, terribile. Si dice che si ha sempre un’altra scelta, Moreno sospende il giudizio e ci ricorda che quando si è poverissimi il ventaglio delle scelte è ridotto all’osso da subito e allora prima di pensare, di sognare, si diventa qualcos’altro. E dopo, quel qualcos’altro sei tu.

«La luce è metafora di conoscenza e libertà. Per questo il dottor Pinel liberò il matto dalle sue catene con lo stesso gesto con cui apriva le finestre della cella per permettere al sole di entrare».

Chiunque abbia indagato su Godino, dalla magistratura alla polizia, dalla stampa alla psichiatria, non ci ha poi capito molto, non ha trovato la chiave di lettura. Moreno una chiave la offre perché non indaga il ragazzo, indaga il tempo e la storia, indaga gli immigrati e la miseria. Indaga il luogo che conosciamo come meraviglioso ma che allo stesso tempo, abbiamo imparato, può diventare un buco nero che ti risucchia e poi ti sputa fuori oscuro e perduto. Un libro interessante e bellissimo, pieno di poesia e di ritmo.

Gianni Montieri

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