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Manifesti, Vicente Huidobro

Sommario

In anni di intenso fervore avanguardistico, precisamente nel 1925, in Francia, Vicente Huidobro (Santiago del Chile 1893, – Cartagena 1948) dà alle stampe Manifestes, il cui incipit ne condensa a pieno e con estrema chiarezza il contenuto: “Dopo essere venuto a conoscenza degli ultimi manifesti pubblicati sulla poesia, ho riletto i miei e, adesso più che mai, confermo le mie vecchie teorie”. Scopriamo subito, attraverso queste poche righe, che le pagine di Manifesti ospitano le riflessioni dell’autore di Altazor sulla poesia – non a caso uno dei saggi è intitolato “Necessità di un’estetica poetica composta dai poeti” – e rappresentano la conferma delle proprie teorie estetiche, messe in pratica in numerosi componimenti e formulate già a partire dal decennio precedente, fino alla fondazione di un’avanguardia conosciuta con il nome di creazionismo. Benché legato agli ambienti avanguardisti, e pur condividendo, talvolta, alcune posizioni del dadaismo e del surrealismo – come un “logico disprezzo del realismo”–, lo scrittore cileno ne prende le distanze evidenziando, in un continuo confronto con la propria idea di poesia e attraverso il ricorso a molteplici e autorevoli fonti e a disparati esempi, gli aspetti che di tali avanguardie riteneva inadatti alla creazione poetica. Non è un caso se usiamo il termine ‘creazione’, poiché fa riferimento alla poesia creata teorizzata da Huidobro, che ben si esprime nelle sue parole “mentre alcuni facevano abbaini ovali, io facevo orizzonti quadrati”. Manifesti – che si aggiunge ad altri due importanti lavori di Huidobro pubblicati nella collana Gli eccentrici, vale a dire Cagliostro e Sulla Luna – è un’opera fondamentale non solo per comprendere le idee estetiche del poeta ma anche per recepire, mediante la prospettiva di chi lo ha vissuto dall’interno, il panorama culturale e letterario del tempo, relativo in particolar modo al mondo delle avanguardie.

Antonella Di Nobile

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