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Resta solo il fuoco, Micheliny Verunschk

Sommario

Una prima scena. Si comincia con una frase: «Tutti gli occhi sono rivolti al centro del cortile», le parole aprono un vasto immaginario e suonano come il verso di una poesia, viene voglia di cominciarne una, di farlo così. Si prosegue con la descrizione dell’ambiente, della casa, delle pareti, sembra che ci sia una macchina da presa che si muova, allargando e restringendo il campo continuamente. Piccoli e significativi dettagli, come i garofani tristi ai lati dell’edificio, palme da dattero che nessuno sa spiegare, nessuno sa come siano arrivate lì. Più avanti una fioriera rimasta vuota e terra bruciata. Desolazione e qualcosa che è stato vivo. Qualcosa di arso, qualcosa di andato, che non c’è più e il garofano triste vigila, è sentinella e testimone, per ora, almeno lui non muore. Ci sono occhi di animali che appaiono irreali. C’è una foto e i soggetti ritratti sembrano fantasmi, e forse lo sono. Nel giro di altre tre o quattro frasi si arriva di nuovo al centro del cortile, lì c’è il cadavere di una donna, ne leggiamo la descrizione, la donna è stata arsa viva e nel modo in cui rimane la bocca si possono leggere i segni di chi ha urlato disperata per le fiamme. Celeste è il nome della donna, Celeste è anche il titolo del primo capitolo. Celeste è la protagonista assente, morta nell’incipit, del bellissimo romanzo Resta solo il fuoco della talentuosa scrittrice brasiliana Micheliny Verunschk, edito da 66thand2nd con la traduzione di Dea Merlini. Ecco, tutti gli occhi guardano al centro del cortile ma in quello spazio c’è un cadavere.

«E poi c’è il cadavere di una donna nel cortile, in una tomba poco profonda ancora aperta. Le spoglie annerite una pustola che suppura nel paesaggio. Ha le ginocchia piegate nella posizione di combattimento comune a tutti i morti ustionati, le braccia allungate all’indietro, flesse all’estremo, nelle labbra assenti e nei denti completamente scoperti riecheggiano le grida soffocate dalle fiamme e dal fumo».

La storia di Celeste è la storia della sua famiglia, di suo fratello e dei suoi genitori che la bruciano viva. I parenti seguono un rituale che inizialmente si presenta come un esorcismo ma si realizza come una cosa d’altri tempi: il rogo di una strega. Verunschk ambienta le vicende in una piccola comunità rurale del Brasile, isolata, un regno dove la religione, le leggende, le macabre tradizioni fanno presa, si ergono a coscienza / conoscenza delle vite degli altri. Un luogo dove le regole sono differenti rispetto a quelle che conosciamo. Un posto dove l’amore si confonde e viene manifestato al suo culmine con un omicidio. Diranno che l’hanno arsa per salvarla, diranno che non è davvero morta perché destinata alla rinascita. Diranno follie perché è questo che fanno gli esseri umani – ovunque si trovino – per giustificare i loro affari più macabri, le loro credenze, le loro menzogne, i loro misfatti. Le diranno intanto che pregano, le diranno dinanzi a un poliziotto che compila un verbale.

«Tutto si fa sfocato. Le parole rimangono in gola, le mani dell’ispettore premono sulle braccia, sulla nuca. E pesano così tanto».

Il libro si direbbe un noir ma ha molto a che fare con l’antropologia, con i segni lasciati dal colonialismo, col patriarcato, con oppressioni di genere che sempre vengono da lontanissimo ma non sono tanto distanti, almeno idealmente, da quello che di frequente succede nelle nostre confortevoli città.

Micheliny VerunschkMicheliny Verunschk costruisce il romanzo con un coro a più voci, i protagonisti prendono la parola e raccontano la propria versione dei fatti. Fuori dal coro, una misteriosa figura femminile cerca di ricostruire la storia, come se facesse l’indagine al di sopra dell’indagine, come se mettesse un grosso faro al centro di quel cortile, al centro di quella terribile vicenda. La storia principale si lega a una sorta di sotto vicende, di stratificazioni che da quel corpo devastato dal fuoco famigliare vanno molto più indietro. Cosa emerge? La comunità sperduta, totalmente isolata e le conseguenze di quel lungo isolamento. Tra queste conseguenze c’è la nascita di un nuovo credo religioso e, come logico, il rapido propagarsi di una forma altra di fondamentalismo. Tutto ciò che seguirà sarà orribile e brutale. La voce della donna, che prova a tenere le fila, mostra come l’isolamento prolungato, le avversità della natura – territoriali e domestiche – abbiano favorito la nascita di sottoculture estreme; questo mescolato al vero potere politico e religioso, che una volta spartitosi ciò che si doveva spartire, noncurante si dilegua.

«Quando ci troviamo di fronte all’abisso facciamo un passo indietro o uno avanti».

Micheliny Verunschk è una delle scrittrici brasiliane più interessanti di questi anni, e, grazie anche a una bellissima traduzione, si resta in qualche modo incatenati al ritmo del suo libro, al suo vortice di immagini e lingua, ai suoni, addirittura. Ricorda per pulizia della scrittura, forza simbolica e visionaria del racconto, un’altra scrittrice brasiliana Ana Paula Maia, che in italiano abbiamo apprezzato qualche anno fa con Di uomini e bestie (edito da La Nuova Frontiera, traduzione di Marika Marinello). Resta solo il fuoco è visionario e realistico, meraviglioso e guasto, come sempre è successo nella tradizione della letteratura latinoamericana, come speriamo continuerà a succedere.

Gianni Montieri

 

 

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