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La sangre oculta en la mirada
del hombre socavón que circula en la mina, la sangre que suda todos sus minerales. La sangre oculta en la mirada del hombre derrotado
en el salón de vidrio de la “justicia” humana.

Carlos Pellicer – Discurso a Cananea
È nella città mineraria di Lota, Cile, che venne al mondo nel 1867 Baldomero Lillo, figlio di un minatore e caposquadra, da cui aveva ereditato la passione per la lettura, unico spiraglio di luce per una giovinezza risucchiata dalle tenebre che dominavano le miniere di carbone cilene di inizio Novecento, in cui tante persone come lui, adulti e bambini erano confinati per la maggior parte della giornata, per poi ritrovarsi la sera a camminare verso gli alloggi messi lì dall’impresa estrattivista, in cui erano attesi da quelle mogli costrette a razionare il cibo, pur di dar qualcosa da mangiare a quei bambini che alla tenera età di otto anni avrebbero rinunciato alla vista di un sole appena conosciuto, per calarsi sotto terra, in una notte perenne.

È questo spaccato della comunità cilena che ci viene raccontato in Sub Terra, il cinquantunesimo volume della collana Gli eccentrici, curata dalla casa editrice salernitana Edizioni Arcoiris, con traduzione di Antonella Di Nobile e Raul Schenardi.

Grazie a questa scelta, come sempre coraggiosa, come sempre preziosa, di questa realtà editoriale italiana, abbiamo la possibilità di compiere un viaggio nel tempo e, parallelamente, di confrontarci con un autore dalla sensibilità straordinaria, che con la sua poetica ha dato un contributo significativo a una tradizione letteraria, quella del romanzo sociale latinoamericano, il cui intento andava ben oltre il donare dei testi dalla grande qualità e in grado di lasciare il segno nella storia della letteratura in termini di stile e struttura, per rispondere a obiettivi molto più urgenti, quali il denunciare, dunque fare luce sulla condizione delle fasce sociali più deboli sfruttate fino all’osso in quei quartieri delle grandi città latinoamericane o ai confini di esse e il dare voce a quelle realtà sotto scacco di imprenditori impietosi, in sintesi condurci nelle “vene aperte” di un continente in cui scorrono fiumi dalle acque contaminate da violenza e sfruttamento, iniziando a tessere quel filo rosso che unisce il popolo latinoamericano di oggi con il popolo latinoamericano di ieri, in una lotta vigorosa, ardente e continua, verso il riconoscimento dei propri diritti.

Nelle pagine di Sub Terra – e in questo è possibile allacciarsi al sottotitolo del libro in lingua originale – sono dipinti dei veri e propri quadri della miniera. Baldomero Lillo, con le sue parole è in grado di creare delle immagini altamente rappresentative delle condizioni dei lavoratori, nelle città minerarie del lungo petalo di mare, nate in seno a un progresso incalzante, che altro non ha fatto altro che evidenziare e acuire le disparità economiche della popolazione dello stato cileno.
Si narra che nel Cile di quegli anni, all’avvio di una nuova rete elettrica, la gente si radunasse nelle piazze delle città per ammirare l’accendersi dei lampioni alimentati da quel carbone che veniva estratto dalle “formiche perforatrici” che lavoravano nelle miniere appena fuori città. Erano luci vive, luminose, sotto le quali i bambini giocavano e gli adulti chiacchieravano del più e del meno, mentre le campane rintoccavano quella melodia che segnava le ore. A pochi chilometri, però, quel suono idilliaco, angelico, lasciava spazio al rumore del piccone che scalfiva la dura roccia, da cui si disperdevano polveri sottili, destinate a insinuarsi nei polmoni degli operai: le urla benevole di un padre che richiama suo figlio erano sostituite dalle urla dei capisquadra, le schiene di quei bambini, poggiati sui muretti per parlare con gli amici, a più di due metri sottoterra premevano con tutta la loro forza sulle porte, per permettere ai minatori di far passare i carretti in quei tunnel strettissimi, che avrebbero potuto saltare in aria da un momento all’altro, date le cariche d’esplosivo piazzate sulle pareti rocciose, il tutto per pochi centesimi come salario, che non si poteva in alcun modo contestare, pena il licenziamento e la conseguente espulsione dagli alloggi fatiscenti in cui venivano ospitati i lavoratori con le loro famiglie.
È una cruda realtà quella che viene narrata in Sub Terra, contrassegnata dallo sfruttamento del lavoro minorile e non, dalle condizioni di estrema povertà in cui versavano quelle persone, sacrificate sull’altare del progresso. Ma cosa succede se un autore come Lillo dona la sua penna alla narrazione di quelle storie silenziate? Viene fuori una poesia che si tinge di quei volti che sembrano quasi comparire dinnanzi agli occhi del lettore, faccia a faccia con quelli acquosi di un minatore, vengono fuori le immagini degli occhi giganti e lacrimanti di bambini che implorano il proprio padre di non lasciarli soli nel buio, si riescono a udire le urla di una madre mentre toglie la polvere dal volto di suo figlio e nasconde la delusione dinnanzi lo sguardo di un marito di fronte a una misera monetina, metafora del valore di quelle vite che soccombono sotto un’esplosione da cui i superstiti estrarranno i corpi dei propri compagni o di quei capisquadra verso cui non nutrono rancore, poiché in quegli ambienti si è tutti vittime della stessa farsa, di una tragedia che si conclude con la vista di un cavallo che ormai vecchio, inutile, cammina verso la luce. Ecco che le pagine di questo libro diventano veicolo di una grande e singolare intensità, tesa a narrare quel lato della storia dimenticato, ma che abbiamo il dovere di conoscere e ricordare, in nome di tutte quelle persone che ancora oggi vivono in queste condizioni.

Claudia Putzu

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