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Da un’isola all’altra

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Ho lasciato la mia soleggiata isola nel 2006, per dirigermi verso un’isola grigia – sempre grigia – il Regno Unito. Senza che me ne rendessi conto, anch’essa diventò mia: da allora, viaggio da un’isola all’altra – fluttuando in aria, tra l’oceano Atlantico e le sue acque fredde, le sue spiagge, a volte di sabbia ma quasi sempre di brecciolino e il Mar dei Caraibi, violento e imperdonabile, con le sue onde spesso corte. Respiro quell’incertezza di vivere lontana dai bellissimi Caraibi che mi hanno vista nascere, ma a cui non sono mai appartenuta. E mi chiedono sempre da dove venga. Quando dico di essere dominicana, si sorprendono perché non sono nera e wow come parlo bene l’inglese, anche se sottolineano sempre che ho un accento straniero.

Anno dopo anno dopo anno, sono ancora qui, in Inghilterra, paese parte dell’altra mia isola; essenza che si disperde in particelle minuscole, così minuscole. Atomi carichi di illusioni. Illusioni di una ragazzina di vent’anni e poco più, che se ne andò per sfuggire alla merda umana, ai traumi familiari, a un sole penetrante, per immergersi nella freddezza sotto tutti i punti di vista. Gelato il clima, il suo cielo grigio, i giardini, i pini, la gente così composta, tanto composta da diventare falsa. I pub, le possibilità che offre.

Non importa dove sia, io sono figlia delle isole al 100%. La mia anima divisa tra i Caraibi e il Nord Europa. Con una tetta qui e l’altra lì. Faccio surf nel mezzo dell’oceano Atlantico. Questo oceano piccante, le cui onde si infrangono sulle coste del Portogallo, in Cornovaglia e a Cabarete, ma non si sente la stessa cosa. Le sue onde mi trasportano da un lato all’altro.

La mia anima va e viene con quella del mare. L’andirivieni di una pinta, una Super Chilled Fosters, non tanto chilled perché la bevo pianissimo. Quella pinta che bevo malvolentieri quando ciò che realmente vorrei è una Presidente. A volte, quando passeggio nel centro di Londra e passo per le sue incantevoli strade, mi manca l’abbandono della Zona Colonial, i suoi bar, la siesta di mezzogiorno, a casa di Quico dopo una scorpacciata di moro de guandules e baccalà, platano fritto e avocado.

Quando sono ai Caraibi mi manca un Chicken Kiev e quando sono a Londra, un Pastel en Hoja.

Ma no, passo la maggior parte del mio tempo nell’altra mia isola, per la quale ho deciso di spezzare il mio cuore. Quella in cui ho formato una famiglia, ho stretto amicizie e mi hanno lasciata, o meglio, ci siamo lasciati. Cazzo, come voltano le spalle gli inglesi. Però dai, má Pa’ Lante Vive Gente, si dice, nel mio caso italiani.

Stavo annegando sulla terra, respirando l’aria falsa di una relazione finita. Fu la mia sorella italiana Susanna a salvarmi con i suoi “Dai Karli, vieni, anche se per poco”. E lentamente, in sua compagnia e quella dei miei amici italiani, ho imparato a nuotare tra depressione e solitudine. Ho capito di non essere sola, nonostante mi ci senta. Ho capito di essere più italiana di quanto pensassi. Ho capito che mentre imparavo ad amarmi, stavo perdendo delle persone e un’identità per acquisirne un’altra. Mi perdo nella Sheperd’s pie, sono innamorata dell’arroz con habichuelas e sento l’abbraccio dei cannoli.

Fuggo da un’isola, per avere nostalgia di un’altra.

Karlina Veras

Traduzione di Claudia Putzu

Ph ©Denis Moskvinov – ©Tropical studio – Fotolia

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