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Aurora Venturini: un’indagine

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La letteratura custodisce, tra le altre cose, molti segreti, così – mentre nutre il nostro immaginario di parole, colori e speranze – tiene in una vecchia cassapanca romanzi, poesie e, soprattutto, scrittrici o scrittori, che per mille ragioni e per nessuna, vengono scoperti tardi o addirittura mai. Il loro essere tenuti al riparo spesso è una scelta, quasi sempre è una circostanza, a volte è quasi inspiegabile. Sicché, ci si trova a un certo punto a leggere libri bellissimi scritti da chi – non importa se morto oppure no – non abbiamo mai sentito nominare. Qualcuna (o qualcuno) però bravissima, dalla penna incantevole, dallo sguardo cattivo e commovente. Qualcuna come la scrittrice argentina Aurora Venturini, che non è stata esattamente una sconosciuta, non è stata una che ha scelto una vita appartata, ha scritto tanto, ha vissuto intensamente, ma, diciamo, che solo a un certo punto, in anni recenti, è stata vista, riconosciuta per quella che è, una delle autrici più originali, intraprendenti, dirompenti della letteratura argentina del Novecento. Una voce fuori dal coro, e allora il coro ha fatto sempre fatica ad ascoltarla e ad accoglierla.

«A volte penso che siamo un sogno o un incubo che si realizza giorno per giorno e da un momento all’altro non esisterà più, non apparirà più sullo schermo dell’anima per tormentarci».

Venturini è nata a La Plata nel 1921 ed è morta a Buenos Aires nel 2015. È stata amica di Evita Peron, ha vissuto a Baires e a Parigi, dove si spostò dopo il colpo di stato del 1955. Nella capitale francese ha frequentato Camus, De Beauvoir, Sartre e Violette Leduc. È stata una accesa polemista, non era una che le mandava a dire, sono note le sue osservazioni su Borges, definito tra le altre cose «idiota geniale». Molti dei suoi scritti, nel tempo, furono censurati, ora sono invece tutti leggibili e senza tagli. In contrapposizione a Borges, e a chiunque, lei stessa si definiva un genio. In Argentina e in Sudamerica era la cattivissima, ma era soprattutto una grande scrittrice e grazie a Edizioni Sur possiamo cominciare a leggerla e a studiarla. Nel giro di un anno, tra il settembre 2022 e l’ottobre 2023, la casa editrice romana, ha pubblicato due romanzi di Aurora Venturini, entrambi tradotti da Francesca Lazzarato, e tutti e due molto belli: Le cugine e Noi, i Caserta.

Si tratta di due testi con svariati tratti in comune, tra gli altri spicca la padronanza della lingua, la particolare abilità dell’autrice nel maneggiare i dialoghi e la precisione, l’esattezza, con la quale disegna i suoi personaggi. In particolare, le donne, sono loro le protagoniste delle storie di Venturini e sono come ci immaginiamo lei: cattive, dirette, sfrontate, qualche volta in pericolo, divertenti, capaci di insulti e di tenerezza, capaci di amore e di disprezzo. Donne che vedono presto le difficoltà della vita e le enormi possibilità che ogni destino offre. Donne che auspicano il finale aperto della vita, per dirla con un’altra scrittrice straordinaria, Grace Paley. Donne che interagiscono tra loro, con il mondo e con gli uomini. Si muovono in case, soffitte, tra credenze e cristalliere, tra funerali, messe e mostre in gallerie d’arte. Donne che mettono bene in evidenza cosa significa il disagio fisico, cosa vuol dire conoscerlo, come si impara a fregarsene e qualche volta a riderne. Donne che non rinunciano mai alla battuta, nemmeno negli istanti più tristi o malinconici. Donne che corrispondono all’idea di libertà che ha sempre avuto la scrittrice Aurora Venturini.

«Racconterò qualcosa che mi è capitato molto tempo fa quando cercavo uova tra le erbe del campetto e che non ho mai potuto dimenticare ed è l’unica crudeltà che ho commesso».

Il cuore di entrambi i romanzi si frammenta, si spezza e si ricompone all’interno di nuclei familiari molto particolari (ma non lo sono tutti?). Venturini parte dalla famiglie – dalle donne che le formano, le governano, le salvano, le subiscono – e dalle più antiche memorie, rancori, amori, abbandoni, storie e da lì apre le finestre e riconduce quelle vicende al mondo intero, le intreccia, tesse fili che dal più nascosto imbarazzo domestico viaggiano nelle città e osservano e raccontano e rappresentano al meglio la condizione umana.

La famiglia da sempre è centrale nella letteratura, nelle cucine e nelle stanze da letto – banalmente – si celano i più terribili segreti, da lì nascono sogni e speranze, da quegli spazi piccoli si può osservare l’universo, lo spazio, la società. Quello che accade in un dato periodo di tempo, nel bene e nel male, è stato anticipato da una dinamica familiare, da un piccolo mutamento, una frase non detta, un oggetto fuori posto, un grumo di polvere dove non c’era mai stata.

«Decisi di partire. Sarei andata in Cile. E così a metà del 1943, come un dente cariato la cui cavità subisce la tortura del piombo rovente, con tutte le ossa dello scheletro doloranti, precipitai sulla dura superficie di Santiago».

le cugineIn Le cugine la famiglia strana e normale a suo modo è quella dei López, un gruppo, se vogliamo, disfunzionale, ma affascinante. Gli uomini sono spariti da tempo, in un modo o nell’altro. Abbiamo la madre, un’insegnante in pensione e poi Betina definita «errore della natura» e Yuna, la protagonista e narratrice. Yuna ha problemi di linguaggio ma emerge e trascina in qualche modo le altre. È un’osservatrice, è una testimone, usa proprio il linguaggio per raccontarci la sua storia e quella della famiglia. Ci mostra le disgrazie che circondano lei e il suo ambiente, i soprusi, le violenze, i disastri, i disagi, ma non è mai cinica, è solo brillante, e sa commuovere. Cresce e diventa una famosa pittrice. In mezzo, il fiume di parole che ci attraversa nel suo monologo pieno di luce e vivacità, di frasi crudeli e aggettivi precisi, la tenerezza che emerge qua e là nel rigore della sintassi di Venturini. La scrittrice attraverso Yuna pare dirci che la normalità non esiste, esiste solo la vita e la prospettiva con la quale osserviamo gli altri. Strani o normali sono solo gli angoli da cui sbirciamo, i punti di vista che sono regolati dalle nostre esperienze. Yuna parla e ci dice: hey, questa è l’esistenza di chiunque, fattene una ragione insieme a me. Le cugine è un romanzo di formazione fuori dagli schemi, c’è molta oscurità nelle nostre adolescenze, e allora Venturini ha scritto anche una storia di disinformazione. Ci invita a fare a meno di quello che diamo per scontato, ci sprona a ripensare alle cose, alle persone.

noi i casertaChela Stradolini, si chiama così la formidabile protagonista di Noi. I Caserta; di nuovo la famiglia, fino dal titolo, di nuovo un viaggio nell’intimità dei legami sociali, delle storture e incomprensioni che qualche volta ci avvicinano, quasi sempre ci allontanano. Chela, nella soffitta di casa, apre un baule che – come tradizione familiare e letteraria vuole – è colmo di fotografie, carte, taccuini, biglietti, lettere. Sono un mosaico di memorie, sono l’inventario della sua biografia. Il catalogo è questo, sembra dirci, con Giovanni Raboni, Venturini.

«Non so quanto durò il viaggio. Al ritorno, avevo nuove rughe sul viso e mani da ottantenne. Una spaventosa vecchiaia punì la mia anima e il mio corpo, e da allora cammino come un verme. Ho cremato me stessa in vita. Da quella volta sento che qualcuno o qualcosa mi tiene per i capelli».

La famiglia di Chela – siamo nell’Argentina degli anni Venti – la considerava magra, troppo scura e, soprattutto, brutta, per i gusti dell’epoca e non corrispondente ai canoni aristocratici cui appartenevano. Era intelligentissima (come Yuna, come Aurora stessa si considerava) ma non bastava, non era mai bastato. Padre, madre, sorella, crudeli e distanti a loro modo e in egual misura e un fratello fragile come un fiore, eterno bambino, tenero e fastidioso. Una vita lunga quella di Chela, dalla scoperta della letteratura e dei viaggi, del grande amore impossibile. Il Cile, Parigi, Roma e finalmente in Sicilia, alle origini. Laggiù vive ancora una prozia – Angelina – un’altra figura femminile chiave. Solo con Angelina, e nella grande tenuta dei Caserta, Chela troverà qualcosa che finalmente somiglia alla serenità. Solo molto lontano da dove si è nati forse si capisce la nostra essenza, così è per Chela.

Yuna, Chela e le altre, donne straordinarie, archetipi, fulcro narrativo e personaggi indimenticabili. Aurora Venturini le crea, le sceglie e le usa come portatrici di linguaggio, di forza. Non nascondono mai le loro debolezze, anzi le mostrano, se ne impossessano, le adoperano per fare luce, per aprirci gli occhi e per mostrarci il mondo così come è.

Con Aurora Venturini, leggiamo in italiano una scrittrice singolare che – pur con stile e visione letteraria molto diversa – non esitiamo a mettere nell’olimpo della letteratura argentina del Novecento, al fianco di un altro genio qual è stata Silvina Ocampo.

Gianni Montieri

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