Luz, mi sono sempre chiamata Luz. E mi piace il mio nome.
“I vent’anni di Luz” (“A veinte años, Luz”, 1998) è forse il romanzo più famoso della scrittrice argentina Elsa Osorio, pubblicato in italiano da Guanda nel 2000.
Luz ha appena avuto un figlio. Luz ha una madre anaffettiva che a volte le sembra un’estranea. Luz è nipote di un militare di alto grado, pesantemente coinvolto nella “guerra sporca argentina”. Luz questo non lo sa, non sa quasi niente della sua storia familiare e della storia del suo Paese. Inizierà una ricerca identitaria che la condurrà a conoscere le proprie origini e il passato ancora taciuto del popolo argentino.
La Osorio alterna le voci dei protagonisti e diversi punti di vista, in prima e terza persona; alterna presente e passato, anni ’90 e anni ’70, concretizzando nella forma narrativa la complessità della ricostruzione di un intreccio tra storie personali e collettive. Punta sulle emozioni basandosi su riferimenti storici rigorosi. Interessante soprattutto il suo lavoro sul dubbio e sui chiaroscuri dei personaggi. È impietosa con i carnefici e più indulgente con chi, all’oscuro delle atrocità della dittatura, ne ha poi preso coscienza e ha agito di conseguenza, pur avendo vissuto tranquillamente all’epoca in cui chi chiedeva diritti e giustizia veniva fatto sparire e massacrato. C’è una sorta di perdono per l’inconsapevolezza, ma la presa di coscienza di un sé personale e di un sé collettivo è a parer mio il senso ultimo di un romanzo che si pone all’interno di una concezione della letteratura come lotta e libertà. All’epoca della sua uscita, in Argentina ancora vigeva l’amnistia per i crimini della dittatura militare.
Laura Bucciarelli