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Una “tana” a Buenos Aires

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Sono passati anni ormai da quando, con gli occhi pieni di curiosità e meraviglia, girovagavo assorta fra le strade di Buenos Aires desiderosa di scoprire ogni recondito angolo della sconfinata capitale porteña. Ricordo che anche i quartieri più famosi, di cui avevo letto nelle guide più gettonate o nei siti fatti da o per turisti, non mi lasciavano affatto delusa e, sebbene le loro bellezze o l’imponenza della città fossero state egregiamente illustrate da chi mi aveva preceduto nel viaggio e nell’esplorazione, suscitavano nel mio animo una sensazione di sorpresa e di stupore. Avevo letto, come di altri, del quartiere San Telmo, barrio storico e caratteristico, contraddistinto da un’architettura di stampo coloniale, famoso per i suoi negozietti di antiquariato e mercatini diurni – di cui, per la cronaca, vado matta – ma da studiosa del fumetto argentino, e in particolare del rapporto che la cosiddetta nona arte intrattiene con la realtà sociopolitica del paese, mi aveva colpito ancor di più la notizia di un percorso interamente dedicato alla historieta (termine con cui si suole identificare, per l’appunto, il fumetto nazionale).
Così, in una calda e soleggiata mattina di quel marzo del 2016, mi incamminai lungo le Avenidas della città alla ricerca del Paseo de la historieta fino a ritrovarmi, a un certo punto, faccia a faccia con molti dei personaggi che dagli anni trenta in poi avevano abitato le tavole dei fumetti e le pagine dei più disparati periodici argentini. Catapultati dalla carta alla strada; dalla bidimensionalità della pagina stampata alla tridimensionalità del quartiere; dalla finzione alla realtà. Destinati a occupare, finalmente, quello spazio reale che, nonostante la loro essenza di personaggi fittizi, avevano saputo acutamente descrivere, pungentemente contestare, o sapientemente mascherare e velatamente suggerire, tanto in tempi di democrazia quanto nei molteplici periodi di dittatura che hanno caratterizzato per lungo tempo la vita del paese.
Nelle pagine dei fumetti si può rintracciare molto, infatti, della realtà argentina. Tant’è che nelle tavole della famosa Mafalda di Quino, ad esempio, è facile trovare una resa spesso precisa e accurata della società argentina del tempo, caratteristica d’altronde delle strisce o delle forme più prettamente umoristiche, e inoltre nelle tavole del celebre L’Eternauta di Oesterheld, o ancora in alcuni dei lavori del maestro Alberto Breccia e di Carlos Trillo – mi riferisco dunque a forme narrative fantastiche e fantascientifiche, che appaiono più distanti e meno interessate ad una rappresentazione oggettiva o realistica, ossia a quelle tipologie di narrazioni che hanno il proprio centro nel racconto di vicende totalmente immaginarie e fantasiose e che non pretendono di avere, né tantomeno si pongono come obiettivo, una corrispondenza fedele con la materia reale – si riscontrano momenti di riflessione, denuncia o punti di vista critici nei confronti delle esperienze dittatoriali e sociopolitiche.
La fuga dei personaggi dalle loro gabbie di inchiostro e il loro riversamento per le strade della città di Buenos Aires appare dunque simbolica di quanto possa essere labile e sfumato il confine fra realtà e finzione. Infatti, in un articolo apparso sul periodico Clarín riguardo al Paseo de la historieta, leggiamo che le statue, a grandezza naturale, sono state progettate «per sembrare reali», almeno nelle intenzioni dichiarate dall’artista che le ha realizzate; inoltre, l’installazione per le vie della città è stata salutata come un’opera di puro «realismo mágico», in grado di veicolare una concezione di realtà intesa come ‘ampliamento delle categorie del reale’ e, quindi, come fusione fra elementi della quotidianità ed elementi magici o meravigliosi.
Alejo Carpentier, lo scrittore cubano che per primo ha saputo cogliere quell’essenza, al contempo real y maravillosa, che permea gran parte delle espressioni letterarie e artistiche latinoamericane, sosteneva che: «muchos se olvidan, con disfrazarse de magos a poco costo, que lo maravilloso comienza a serlo de manera inequívoca cuando surge de una inesperada alteración de la realidad (el milagro), de una revelación privilegiada de la realidad, de una iluminación inhabitual o singularmente favorecedora de las inadvertidas riquezas de la realidad, de una ampliación de las escalas y categorías de la realidad».
Il Paseo de la historieta, in conclusione, pone l’accento non solo sull’importanza del fumetto nel panorama culturale argentino passato e odierno, ma anche sulla sua capacità di costituirsi come parte integrante della realtà, o come la sua rappresentazione alterata e trasfigurata. Occupando, tra l’altro, un posto di rilievo fra le forme culturali argentine si pone come strumento di coesione e come collante sociale, come forma in grado di definire l’essenza di un popolo e di stimolare il senso di appartenenza ad una comunità, in linea con gli obiettivi della Unidad de Construcción Ciudadana y Cambio Cultural del Gobierno porteño – che ha dato vita al progetto in collaborazione con il Museo del Humor (MUHU) – tra i quali figurano «promover el sentido de pertenencia y la identidad común».

Antonella Di Nobile

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