Nell’anno del centenario della Settimana di Arte Moderna che si tenne nel 1922 – evento artistico svoltosi a San Paolo che è diventato un punto d’inflessione nella storia della cultura brasiliana – molte questioni suscitano ancora vivaci dibattiti tra intellettuali e artisti in Brasile.
Una delle voci principali di questo dibattito è la PhD in Storia, scrittrice e giornalista Marcia Camargos, esperta in materia e autrice di libri come Semana de 22: entre vaias e aplausos, convinta che la Settimana sia stata un “punto di partenza per il modernismo, che negli anni si è rimodellato”.
Camargos considera il dinamismo dell’attuale produzione artistica brasiliana marcatamente inclusivo, capace di portare verso il centro le voci brasiliane provenienti da segmenti sociali fino a poco tempo fa messi a tacere, un continuum di quel grido di rivolta contro un’arte sclerotica, accademica e passiva di fronte al colonialismo.
Lo scrittore Ruy Castro, che lo scorso novembre ha pubblicato il libro As Vozes da Metrópole, relativizza l’originalità delle idee della Settimana del 22 e presenta una serie di autori che, a Rio de Janeiro, avevano già difeso per anni gli stessi ideali, roducendo una letteratura modernista ed emancipata. Castro esalta anche la modernità dell’allora capitale del Paese, Rio de Janeiro, in contrasto con San Paolo, secondo lui, all’epoca ancora una città di provincia.
I critici di Ruy Castro lo accusano di alimentare una nota rivalità tra le due maggiori città del Brasile, che da sempre si contendono l’etichetta di città moderna e di avanguardia culturale.
La Settimana del 22 è emersa da conversazioni tra un gruppo di artisti e intellettuali dell’élite di San Paolo che ha riunito nomi come Di Cavalcanti, Mário de Andrade, Oswald de Andrade, Menotti Del Picchia, Graça Aranha, a cui si aggiunsero in seguito altri artisti. Si opposero ai canoni estetici allora prevalenti e le loro idee furono sintetizzate da Oswald de Andrade, nel Manifesto Antropofágico (1928).
C’era il desiderio di divorare l’Altro, di ingoiarlo, di farlo proprio attraverso un assorbimento, operando un processo di risignificazione.
Una frase che esprime bene lo spirito del Manifesto Antropofágico è: “Tupi, or not tupi that is the question”, un esercizio di intertestualità, in un’appropriazione dell’altro adeguata alla cultura locale.
Intellettuali europei come l’antropologo italiano Massimo Canevacci (1942 – ) e il francese Roger Bastide (1898-1974) nei loro studi sul movimento modernista hanno trattato l’antropofagia come una somiglianza con il sincretismo, sollevando critiche da parte di coloro che mettono in guardia sulla differenza tra i due, con l’antropofagia che richiede un punto di partenza amerindo o afrodiasporico, mentre il sincretismo vede un processo subordinato, un adattamento della cultura brasiliana alla cultura europea.
La Settimana che si è svolta nel centenario dell’Indipendenza del Brasile ha gridato che l’indipendenza non è stata ancora proclamata, perché l’autonomia della cultura brasiliana deva ancora realizzarsi.
In questo 2022, a duecento anni dall’Indipendenza del Brasile, c’è ancora molto da fare affinché la cultura brasiliana si affermi con orgoglio con la sua singolarità, ma è innegabile che si stiano realizzando cose positive.
La decolonizzazione del pensiero, della conoscenza e dell’arte in Brasile ha consentito l’emergere di una cultura potente modellata da processi storici di resistenza e resilienza di razze, etnie e culture originarie.
Che in questo bicentenario dell’Indipendenza del Brasile e centenario della Settimana del 22, memoria, ascendenza, partecipazione, rispetto, dignità e orgoglio siano parole obbligatorie di un nuovo Manifesto. E che, come nella canzone di Caetano Veloso “Um Índio” (1977), lo spirito ancestrale del popolo brasiliano brilli nel cuore del Sud America.
Senza paura come Muhammad Ali,
Appassionatamente come Peri,
Liscio e infallibile come Bruce Lee,
L’ascia di afoxé* Figli di Gandhi.
Arnaldo F. Cardoso
*Strumento musicale brasiliano