«Non parlo mai male di nessuno, però…», «Sono tua amica e ho il dovere di dirti che…»: frasi frequenti, pettegolezzi sui social, commenti su internet, nei talk show, nei gruppi… «Oh, sono tutti uguali…». Sono le “frasi orribili”, che “emergono nelle conversazioni quotidiane quando qualcuno cerca di giustificare la propria responsabilità nel diffondere un’infamia”, come nota un grande della letteratura latinoamericana, lo scrittore cubano Alejo Carpentier:
Circola un pettegolezzo. Viene raccolto da chi muore dalla voglia di ripeterlo, a volte in versione amplificata. Tuttavia, è sempre spiacevole essere considerato un calunniatore, un ficcanaso o un maldicente. E dunque spunta la necessità di indossare una maschera di innocenza. Per lanciare una pietra senza mostrare la mano (1).
Carpentier scrisse queste parole negli anni ‘50 dello scorso secolo, quando i social non esistevano e nemmeno il web. E i telefoni erano aggeggi fissati al muro, con solo una cornetta e il disco selettore dei numeri. «Non sai mai chi hai di fronte…»; «Non prendertela troppo, ma…». E se dopo tanti anni la faccenda ci è così familiare, non è solo per l’acclarata immortalità del pettegolezzo. Ma anche per come Carpentier, in poche righe, racconta il mondo delle frasi orribili, “strategia del polpo che getta l’inchiostro per intorpidire”: un articolo su una rivista parigina, Cocteau e Ionesco, lingua francese e lingua spagnola, trivialità e poesia. Un mondo, appunto.
“Ogni parola ha una storia da romanzo”, afferma Carpentier in L’avventura delle parole (2), il primo dei dieci suoi pezzi giornalistici raccolti in La parola e la sua ombra. Riflessioni sulla lingua, con traduzione e cura di Marcella Solinas, uscito nel dicembre 2024 nella collana Gli Eccentrici, coordinata da Loris Tassi, per le salernitane Edizioni Arcoiris. Dieci cronache pubblicate originariamente su “El Nacional” di Caracas, che accolse tra il 1951 e il 1959 circa duemila articoli a firma di Carpentier. Il quale, negli anni del regime di Batista a Cuba, si era stabilito in Venezuela, dove lavorò ai suoi romanzi più celebri: Il regno di questo mondo, che uscì nel 1949, e I passi perduti, pubblicato nel 1953 (Il secolo dei lumi uscirà nel 1962, quando Carpentier già si era stabilito nella Cuba castrista).
Solo da poco tempo si è iniziato a studiare sistematicamente il vasto lavoro giornalistico di Carpentier, i cui testi erano in parte dispersi e irreperibili, e ancora non vi è un’edizione della sua opera completa. Per questo La parola e la sua ombra è frutto del lavoro di ricerca svolto da Solinas all’Avana, principalmente presso la Biblioteca José Martí e la Fundación Alejo Carpentier. La selezione presentata al pubblico italiano in La parola e la sua ombra è sia temporale che tematica, incentrandosi sulla lingua e le parole: e poiché ogni parola ha una storia da romanzo, questo libro si può leggere anche come un romanzo. Che ha per protagonista la lingua e come personaggi l’argot e il lunfardo, lo chaffeur il dandy e il barbiere, Queneau e la zarzuela, Ionesco e Cocteau…
Ecco tra i personaggi gli aggettivi, che Carpentier chiama “le rughe dello stile”:
Chi elabora un materiale verbale destinato a durare, diffida dell’aggettivo, poiché ogni epoca ha i propri aggettivi deperibili, così come ha le mode, le gonne lunghe o corte, i cilindri o gli orologi da taschino […]. In realtà lo stile di tutti i grandi si riconosce dall’uso molto sobrio dell’aggettivo. Gli autori che decidono di farne uso, prediligono gli aggettivi più concreti, semplici e diretti, capaci di descrivere qualità, consistenza, stato, materia e spirito; questi ultimi sono i preferiti sia da chi ha scritto la Bibbia, che da chi ha creato il Don Chisciotte (3).
Nato nel 1904 a Losanna da padre francese e madre russa, vissuto a Cuba, in Francia, in Venezuela, grande viaggiatore in America e in Europa, morto a Parigi nel 1980, Alejo Carpentier fu autore di romanzi e racconti vertiginosi e indimenticabili, esperto di musica e pittura, giornalista per tutta la vita. Meno noto in Italia rispetto ad altri grandi autori latinoamericani del secondo Novecento, i suoi romanzi più famosi furono ripubblicati da Sellerio negli anni Novanta, tradotti e curati da Angelo Morino e oggi non facili da reperire.
E fu Carpentier il primo a parlare di quel “real maravilloso” che poi diventerà noto – in parte banalizzando e snaturandone il concetto – come realismo magico. Nel prologo de Il regno di questo mondo l’autore racconta infatti che nel 1943, ad Haiti, ripensava al declino del modernismo letterario europeo, in cui il meraviglioso si era esaurito, staccandosi per così dire dal reale: ma proprio in quello scenario caraibico “mi trovai in contatto quotidiano con un qualcosa che potremmo chiamare realtà meravigliosa” (4). Nella cultura creola il surrealismo era ovunque, e non come un dispositivo artistico: era nelle cose stesse, nel mosaico di lingue ed etnie, religioni tradizioni e utopie. Nel permanere del magico, del mostruoso, del soprannaturale.
“Non una poetica: un dato di fatto”. Così Franco Moretti definisce il reale meraviglioso in Opere mondo, nel passo in cui la feconda stagione della narrativa latinoamericana del secondo Novecento è messa in relazione con il divieto, imposto dall’Inquisizione più di tre secoli prima, di commerciare in America Latina i romanzi europei. Una censura che eliminò il romanzo ma generò, paradossalmente, un sistema letterario assai più ricco: poiché, se la letteratura è un ecosistema, il romanzo è un feroce predatore, la cui diffusione pare aver “cancellato dalla carta d’Europa ogni sorta di forme preesistenti”. Così, in quel mondo senza romanzo che era l’America Latina, sopravvivevano “forme narrative pre-realistiche (miti, leggende, romanzi cavallereschi); o forme ibride come la crónica, dove è incerto il confine tra invenzione e fatto storico” (5).
E sul rapporto tra Alejo Carpentier e la cronaca latinoamericana Solinas offre, nella nota introduttiva a La parola e la sua ombra, una riflessione importante. Carpentier ebbe una concezione alta del giornalismo, che considerava “uno strumento di costruzione della memoria collettiva e di comprensione del presente […] Il giornalista, attraverso le testimonianze e le cronache, costruisce e anima il romanzo del futuro, essendo egli stesso lo scrittore del futuro. Carpentier presenta dunque il giornalismo come una sorta di «archeologia del presente», in cui quello che viene letto e pubblicato come “informazione” è destinato nel tempo a trasformarsi in memoria” (6). La cronaca latinoamericana ha già da tempo consolidato quel carattere di «esercizio di sovrascrittura altamente stilizzata», che la qualifica come un genere tipico di quel contesto culturale, quando Carpentier ne sviluppa mirabilmente le peculiarità in concisi e agili pezzi giornalistici, che spaziano in molteplici campi del sapere e che Wilfredo Cancio ha definito “piccoli saggi compressi”.
“Genere sempre in tensione tra la ricerca estetica e la necessità di informare e intrattenere propria di un medium destinato al consumo quotidiano e di massa, la cronaca si nutre della sua capacità di trasgredire e ridefinire i parametri letterari e giornalistici; si distingue per il carattere creativo e per la predilezione per la narrazione […] integra elementi di racconto, saggio, poema in prosa, reportage, intervista e autobiografia (ma non solo) […] Nella cronaca, il giornalista di solito riporta un fatto di attualità, narrandolo in tempo più o meno reale e, contestualmente, commentandolo a piacimento; ordina gli eventi secondo le proprie preferenze (partendo, ad esempio, da un aneddoto o da una digressione personale) e scrive liberamente, applicando una volontà stilistica che trascende la mera relazione informativa di dati e testimonianze e combina, nelle migliori ipotesi, l’agilità e l’efficienza giornalistica con l’elaborazione letteraria” (7).
In questa peculiare cifra stilistica è la grande modernità delle cronache raccolte in La parola e la sua ombra. Cronache di un mondo senza internet né smartphone, in cui i pettegolezzi erano prevalentemente orali, in cui le relazioni tra oralità e scrittura erano profondamente diverse da oggi. Testi che sentiamo, tuttavia, vicini a noi per la peculiarità del loro stile, per la loro natura ibrida; così come i romanzi di Carpentier, che ancor oggi stupiscono per quella modernità che supera l’ossessione dell’attuale, e che consiste nella coesistenza, le intersezioni, le contiguità tra diversi piani spaziotemporali. Così come i numerosi saggi, articoli e interviste di Carpentier, tradotti in italiano nell’ampia antologia L’età dell’impazienza (8), anche i dieci testi raccolti in La parola e la sua ombra ci offrono molteplici elementi di conoscenza; inoltre, nella loro costruzione e struttura – cui Solinas dedica bellissime pagine di esame stilistico (9) – sono un grande esempio di scrittura, oltre che un antidoto alla stupidità del mondo attuale.
Questo libro piacerà a chi ha amato Il regno di questo mondo, I passi perduti e La consacrazione della primavera, e sarà apprezzato da chi si occupa di crónica, o di giornalismo, come da chi studia Alejo Carpentier autore o le molteplicità linguistiche dell’America Latina. E ripensando a quella disciplina indisciplinata che sa “mettere in rapporto buccia e polpa, interno ed esterno, testo e “mondo” (10) ovvero – secondo le parole di Pier Vincenzo Mengaldo – alla stilistica, La parola e la sua ombra si legge anche come un manuale di stile, quasi un breviario di lettura-scrittura.
Silvia Tebaldi
(1) Alejo Carpentier, La parola e la sua ombra. Riflessioni sulla lingua, traduzione e cura di Marcella Solinas, Edizioni Arcoiris, Salerno 2024. Il passo citato appartiene a “Le frasi orribili”, p. 57-59.
(2) ivi, “L’avventura delle parole”, p. 29.
(3) ivi, “L’aggettivo e le sue rughe”, p. 39.
(4) cit. da Alejo Carpentier, Il regno di questo mondo, traduzione di Angelo Morino, Einaudi, Torino 1983.
(5) Franco Moretti, Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Einaudi, Torino 1994.
(6) Marcella Solinas, Alejo Carpentier cronista, in Alejo Carpentier, La parola e la sua ombra, cit., p. 9-10.
(7) ivi, p. 10-11.
(8) Alejo Carpentier. L’età dell’impazienza, a cura di Massimo Rizzante, Mimesis, Milano 2022.
(9) Marcella Solinas, cit., p. 12-17, nella sezione intitolata alla rubrica “Letra y solfa”, in cui Carpentier pubblicò per «El Nacional» di Caracas.
(10) Pier Vincenzo Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Laterza, Roma-Bari 2001.