Newsletter

Search
Sommario

Lo vedesti robusto e peloso, seduto alla scrivania traballante piena di carte e scatoline di preservativi.

Stai leggendo un romanzo e questo è il suo incipit, cioè il principio di un mondo.

Ti parlava per ascoltarsi, senza aspettarsi alcuna risposta, sicuro di istruirti, convinto che ogni consiglio o avvertimento glielo dovessi in anticipo.

E questo principio, questo inizio, parla con il tu, si rivolge a un tu. Ciò equivale a quanto, nella fotografia, è detto primissimo piano: questo incipit ti parla da vicinissimo.

Non potevi sapere cosa ci fosse in quella stanza morente e soffocante di nostalgia o disprezzo, quegli oggetti che potevano significare un’intimità sordida, una convinzione recalcitrante o tutto insieme: una viziata e consumata nostalgia per rievocare un tempo distrutto, un passato preso d’assalto.

Chi è questo tu? E di chi è la voce che gli parla, che conosce quello che tu non poteva sapere?

– Quanti anni hai, bambolina?

L’uomo girò intorno alla scrivania, come se cercasse un oggetto perso, senza prestare attenzione alla ragazza.

E poi la voce che racconta – che sembrava parlare con te – fa un passo nella stanza, si allontana, e inizia a raccontare in terza persona.

Qualcosa è accaduto: e tu non sarai più uno spettatore, un lettore qualunque.

Stai leggendo La tumbadora, un romanzo breve di Pedro Peix, scritto a Santo Domingo nei primi anni ‘80 del secolo scorso e appena uscito in lingua italiana.

Solstizio d’estate, casa d’altri, zero connessione internet. Fuori, lucciole e grilli.  E proprio in una notte come questa appare un libro, e solo uno: hai la prefazione, hai la quarta di copertina, hai una nota della traduttrice. E poi hai solo il testo. Nessun accesso a bibliografie, recensioni o trattati, interviste, fonti o studi critici.

Hai la notte fuori, e nessuna distanza tra te e il testo.

Riesci a immaginare una lettura senza aggrapparti a nulla – generi, correnti letterarie, pareri altrui – a parte la notte e questa voce?

Un giorno lei seppe che facevi l’amore tra le macerie.

Quando la lavavano in una tinozza con l’acqua dei panni sporchi. La lavavano o si sfregava da sola con una camicetta o una sottoveste di Cesarina, la madre diurna e di cattivo carattere, sempre con i postumi dell’alcol fino a mezzogiorno.

La tumbadora è un breve romanzo costruito su cinque racconti, con voci e personaggi che si intrecciano, che appaiono e ricompaiono nel corso del testo; si svolge a Santo Domingo tra la Rivoluzione di Aprile del 1965 e l’inizio degli anni ’80, e racconta di quest’isola la marginalità e la miseria, l’ipocrisia e la violenza. E la follia amorosa e le bugie, il cabaret notturno, i finti concorsi di bellezza, ed è pieno di ritornelli e frasi di canzoni, anche proprio con le note sul pentagramma. E racconta della prostituzione. Di castelli in aria erotici e di sesso zero layer, il grado zero della voglia, del dolore, della violenza. E delle secrezioni, tutte le secrezioni, del corpo umano.

Si tratta, come scrive nella prefazione il grande ispanista Danilo Manera, di “una narrazione ibrida e innovativa, una storia tesa che esplode senza pause o deviazioni”.

Era un testo troppo trasgressivo e innovativo per non restare per lunghi anni inedito, nel contesto sociale dominicano, così conservatore, in cui fu scritto e pure fu premiato; un testo la cui forza innovativa emerge ora intatta e dirompente, a quarant’ anni dalla sua scrittura; narrazione fluviale ma disciplinata, violenta e assieme preziosa, assieme colta e volgare, fine e brutale – un intreccio di nichilismo e innocenza, di pietas e disincanto.

PedroLeggo senza altra guida che non sia il paratesto, ma un paratesto davvero prezioso: la prefazione di Manera, già curatore di diverse opere di Peix, tra cui questo stesso romanzo nella sua prima edizione in lingua originale. E la nota di Barbara Stizzoli, che lo ha tradotto per la prima volta in italiano, per la casa indipendente Edizioni Arcoiris.

Leggo che tumbadora non è solo il nome di una conga, strumento a percussione della tradizione caraibica, e tra le congas quella dal suono più profondo e grave, ma è anche un modo per dire rovesciatrice, ribaltatrice d’uomini: qui è il nome di battaglia di una ragazza, Persia, che rovescia con ironia sferzante i tentativi di seduzione di cui – per la sua bellezza mozzafiato, per il suo status umile e la sua origine illegittima, ma per nient’altro, infine, che per l’imperante machismo, con la sua infame torsione della verità, per la cultura dell’inganno, dell’ipocrisia, dell’abuso – la si vorrebbe fare oggetto. Ed è nella sua fierezza irridente, nella sua adolescenza esperta tanto del sesso quanto del fottersene di quasi tutto, nella sua libertà interiore senza l’impiccio dell’interiorità, è nel suo orgoglio, nel suo non farsi sedurre, che Persia appare, a me che leggo nella notte solstiziale, qui con un libro e basta, mi appare  la figura centrale del racconto, quella attorno a cui gravitano il poliziotto dal passato losco, la prostituta innamorata senza speranza, la maitresse delle giovani nutrici, il corruttore di aspiranti reginette, l’orologiaio turco paranoico, il reclutatore di minorenni per il cabaret, tutta un’umanità che qui a casa d’altri, in una notte solstiziale tra grilli e lucciole, incontro non più come una spettatrice, non più come un lettore o una lettrice. Perché quel dottore in legge nichilista, quel narratore senza speranza né disperazione, quel fiero radicale mai domato che fu Pedro Peix ha messo qualcosa, dentro questa storia, che scioglie la postura da spettatore – non so bene come definirla, forse la pseudoalterità del lettore, dell’atto di lettura sulla poltrona.

Ci ha messo dentro, in questo libro, molti modi di dire e di pensare e fantasimare e definire e dar carne a ciò che un tempo si diceva l’atto sessuale, ma che è i molti nomi e il nessun nome tra abuso e violenza, tra scambio e sperdimento, tra fantasmi e arco breve della vita; e le più varie e triviali e colte metafore dell’atto, e degli organi in esso coinvolti. E ci ha messo il punto di vista dell’illuso e quello del millantatore, del magnaccia e del despota, della preda e del predatore, di chi non ha scelta, di chi sa e non ci casca.

Ci ha messo questo specchio, questa eco, questo strano fenomeno del tu: la difficile sfida della narrazione in seconda persona, cui Manera dedica paragrafi indimenticabili: “Un simile intreccio di prospettive e lontananze, e la sapiente alternanza di narrazione e dialogo, formano un insieme di sconcertante potenza”.

Ci ha messo, Peix, una sostanza poetica, dunque politica: proprio poesia nel senso etimologico, fare realtà. Una cifra poetica che Stizzoli, in una nota che allaccia alla sostanza linguistica e stilistica del testo i rilievi tecnici sul lavoro di traduzione, descrive come “ritmo fluido e travolgente che, solo, può far sentire il lettore completamente assorbito nel flusso di coscienza o nei pensieri dei personaggi, simulando l’immediatezza del pensiero, o la rapidità di un resoconto che sgorga senza tregua e senza sosta, quasi come un monologo interiore”.

Immagina di leggere e basta, senza accesso a recensioni pareri o classifiche: un testo e il suo paratesto, un’immagine di copertina straordinaria. E, a guidarti, solo la notte solstiziale. E le tue previe, le tue altre letture.

Perché questo è uno di quei libri che sciolgono, per così dire, le scorie della postura da spettatore, di chi guarda dall’alto e da fuori, di chi bada a chiacchiere e classifiche. Un libro per cui accade che tra chi legge, da una parte, e dall’altra chi è narrato e chi narra, il tempo della lettura diventa spazio. Spazio assieme. Un libro che ti parla con il tu. Come ora provo a fare con te che leggi, come con me stessa, in questa notte solstiziale.

Silvia Tebaldi

Post correlati

Ragazze morte, Selva Almada

«Andrea dovette sentirsi smarrita quando si svegliò per morire. Gli occhi, di colpo spalancati, avranno sbattuto le palpebre diverse volte nei due o tre minuti

Sono ancora qui, Marcelo Rubens Paiva

Dovessi sintetizzare con una sola parola, Sono ancora qui, il bellissimo libro di Marcelo Rubens Paiva (La nuova frontiera, 2025, traduzione di Marta Silvetti), userei

Addio a Mario Vargas Llosa

Il mondo delle lettere ha perso una delle sue voci più autorevoli: Mario Vargas Llosa si è spento ieri lasciando un vuoto immenso nella letteratura

Attualità

Afrodiscendenza

America Latina