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Ho pensato che in questo libro ci fosse un tradimento. Intervista a Felipe Becerra

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Felipe Becerra, cileno, classe 1985, dopo aver vinto il prestigioso Premio Roberto Bolaño para Jóvenes Escritores del Consejo Nacional de Cultura de Chile, ha destato l’attenzione della critica con il suo esordio narrativo Bagual (2008), già tradotto in inglese e in francese. In Italia lo abbiamo appena conosciuto grazie alla pubblicazione de Il prossimo romanzo, tradotto da Loris Tassi per i tipi di Edizioni Arcoiris.

Nella quarta di copertina leggiamo che Il prossimo romanzo è un libro “costruito per frammenti, citazioni, divagazioni e immagini. È un ibrido tra il diario, il saggio letterario e una raccolta di appunti in cui si riflette sulle difficoltà di immergersi per anni nella stesura di un romanzo lungo”. Hai cominciato a scrivere i quaderni che lo compongono prima o dopo il tuo esordio romanzesco Bagual (2008)? E quando hai deciso di trasformare questi quaderni in un libro?

Dopo Bagual, nel 2008, ho iniziato a scrivere il mio secondo romanzo (Ñache). Ma è stato a partire dal 2011, quando sono arrivato a Parigi con una borsa di studio per frequentare un corso di laurea magistrale in letteratura, che ho iniziato a scrivere i miei taccuini, che tengo ancora oggi e nei quali annoto ogni tipo di appunto, inclusi quelli per il romanzo. In quegli anni, non avrei mai immaginato che Ñache sarebbe stato un romanzo così esteso né che, di conseguenza, ci avrei messo così tanto a finirlo. È stato proprio questo ritardo, questa estensione nel tempo, a farmi prendere coscienza del materiale che anno dopo anno stavo accumulando nei miei taccuini. E in quel processo ho cominciato a chiedermi se quel materiale non avesse forse acquisito una certa autonomia rispetto al romanzo in corso di sviluppo. In quel momento, quindi, ha cominciato a germogliare in me l’idea che gli appunti nei miei taccuini, che riguardavano il processo di scrittura, potessero costituire un progetto letterario a sé stante, indipendente dal romanzo. È così che è nato Il prossimo romanzo.

Nel tuo libro le immagini svolgono un ruolo fondamentale. Quando hai capito che era necessaria questa convivenza tra parole e immagini?

Quando è sorta l’idea di pubblicare questa raccolta di appunti sotto forma di libro, ho immediatamente pensato che in quel passaggio da un mezzo (il taccuino) a un altro (il libro) ci fosse una sorta di tradimento. Perché questi appunti non sono solo scritti a mano, nei taccuini che ho sempre mantenuto nello spazio privato, ma anche perché in molti di essi rifletto proprio sulle implicazioni di scrivere a mano e sulla materialità di quella scrittura quotidiana. Non mi dava fastidio che questo materiale venisse pubblicato stampato, ma capivo che nella sua pubblicazione il design editoriale avrebbe giocato un ruolo importante. La soluzione a quel sentimento di “tradimento” risiedeva nel fatto che il design editoriale mi permettesse di evocare e incorporare le proprietà materiali del taccuino, lasciando tracce della scrittura manuale nel formato libro. Questo mi interessava.

Uno dei titoli che citi spesso in Il prossimo romanzo è Umbral di Juan Emar, Potresti dirci qualcosa in più sul tuo legame con questa opera di oltre cinquemila pagine?

Prima di tutto va menzionato che, anche in Cile, è molto difficile accedere a quest’opera. L’unica edizione completa di Umbral è stata pubblicata dalla Biblioteca Nazionale del Cile nel 1996, in cinque volumi, e per le sue dimensioni si trova solo in alcune biblioteche del paese. Prima di questo, era stato pubblicato solo il primo volume, in Argentina, nel 1977, che è l’unico volume che ho letto fino ad oggi. Nel 1940, dopo che i suoi vari libri di narrativa avevano ricevuto scarsa accoglienza critica, Emar iniziò a scrivere Umbral, un progetto monumentale che sarebbe stato interrotto solo dalla sua morte 24 anni dopo. Ciò che mi interessa di quest’opera è la domanda che pone riguardo alla relazione tra il genere romanzo e l’orizzonte della pubblicazione. In altre parole, la domanda che pone Umbral è cosa succede al genere romanzo quando l’autore si disinteressa completamente da ogni aspettativa o aspirazione di pubblicazione. Quell’opera continua a essere un romanzo? Si trasforma in qualcos’altro? E se sì, che cos’è questo qualcos’altro? Ho ottenuto di recente la traduzione francese di Horcynus Orca, l’opera monumentale che Stefano D’Arrigo ha impiegato 20 anni a scrivere. Mi incuriosisce molto ciò che accade in questi progetti smisurati, che portano il ritardo all’estremo e che per queste ragioni rompono con le limitazioni del genere narrativo così come con le regole del mondo editoriale.

Sempre nella quarta di copertina leggiamo che Il prossimo romanzo ha dei punti di contatto con libri recenti come Il discorso vuoto e Il romanzo luminoso di Mario Levrero, Continuación de ideas narrativas di César Aira o Últimas noticias de la escritura di Sergio Chejfec. Ti ritrovi in questa costellazione di testi?

Tutte quelle opere che menzioni sono state molto stimolanti per me e senza dubbio sono state tra i miei riferimenti al momento di elaborare Il prossimo romanzo. D’altra parte, vorrei anche menzionare El Museo de la Novela de la Eterna di Macedonio Fernández, che ha iniziato con questa idea del romanzo come accumulo di dilazioni dal momento in cui il romanzo ha inizio. In Cile, La nueva novela di Juan Luis Martínez è un’opera che, dal libro d’artista, il collage e la poesia visiva, gioca con le aspettative che ogni lettore ha di fronte a un romanzo. Anche scoprire la materialità affascinante delle scritture illeggibili di Mirtha Dermisache è stato per me un momento determinante. Infine, va anche menzionato che già negli anni ’50, Josefina Vicens affrontava le difficoltà della scrittura di un romanzo come oggetto di una narrazione romanzesca in El libro vacío.

Nella collana Gli eccentrici ci sono altri due grandi autori della letteratura cilena della prima metà del XX secolo: Baldomero Lillo con Sub Terra e Vicente Huidobro con varie opere (il romanzo-film Cagliostro, il testo teatrale Sulla Luna, la raccolta di scritti poetici e teorici Manifesti, il poema in prosa Tremore del cielo). Questi due autori sono stati importanti per te?

Nella storia della narrativa cilena, ciò che ha predominato è stato il realismo. Anche con le sue molteplici varianti e approcci, è una tendenza che continua ancora oggi. In questo senso, Baldomero Lillo appartiene a quella lunga tradizione di letteratura realista cilena, nella sua variante conosciuta come “realismo sociale”. Di fronte a questa linea predominante, tuttavia, ci sono state opere che non cercano di rappresentare in modo verosimile una realtà oggettiva, come nel caso della narrativa d’avanguardia, tra cui troviamo Emar e i romanzi scritti da Huidobro. Mi sento più vicino a questa linea, minoritaria in Cile, che privilegia l’immaginazione di mondi possibili rispetto alla rappresentazione fedele della realtà oggettiva.

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