Newsletter

Search
Sommario

Ariel LuppinoQuando gli chiedono se si sia mai pentito di qualcosa che ha scritto lui risponde di no, “perché i romanzi che non ho pubblicato saranno presenti in quello che pubblicherò. Anche se lo saranno in modo fantasmatico. In un certo modo, quest’opera invisibile è la fonte da cui si alimentano tutti gli altri romanzi”.

È Ariel Luppino, scrittore che il grande Mario Bellatin ha definito genio segreto della tradizione letteraria latinoamericana: nato nel 1985 nei pressi di Buenos Aires, autore di saggi e di racconti e di tre romanzi tradotti in italiano da Francesco Verde e pubblicati, rispettivamente nel 2020, nel 2021 e nel 2023 nella collana Gli Eccentrici, dalle salernitane Edizioni Arcoiris: Le brigate, Le macchine orientali e Paraguaiano!

Leggendo Paraguaiano!, che fa il verso all’epica fondativa argentina e alla tradizione letteraria gauchesca, continuavo a pensare a quella fonte misteriosa: i romanzi non pubblicati, l’opera invisibile, la presenza fantasmatica evocata in quell’intervista di qualche anno fa. Quale è la fonte invisibile che alimenta questo romanzo breve, ambientato nella neonata Argentina, nella seconda metà del XIX secolo – un romanzo breve irriverente e folle, divertente e terribile, pieno di balordi e di guerra e avventure, incredibilmente poetico?

Non lo so. E forse non è possibile saperlo, le fonti sono sempre misteriose. Eppure.

Eppure durante questa lettura, godendomi la storia e la scrittura e la fantasia e la traduzione, annotando su un foglietto nomi come El Mandioca, Sacacorchos, Mate cocido, el Zurdo, Rikar Rüger (di qua gli argentini di là i paraguaiani, per non perdere tracce e nomi tra zuffe e stragi), quella fonte era sempre lì. Qualche ricordo, ora il sentenzioso Eraclito di Borges, che dice è in me forse la fonte, ora la terza Epistola di Giacomo: Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara?. Ora molte sorgenti invisibili narrate nei romanzi. Le sorgenti simbolo d’altro e assieme esattamente se stesse (ora che ci penso, questa potrebbe anche essere una definizione della letteratura).

In queste cento pagine di avventura ci sono la pampa sconfinata, uomini d’armi e armi da taglio, personaggi reali e immaginari ed eventi reali e immaginari mescolati assieme. E, soprattutto, ci sono violenze e scontri tra bande: è dalla strage compiuta da una banda paraguaiana, infatti, che le vicende narrate si dipartono. C’è qualcosa di quasi non descrivibile, la parodia della tortura. E c’è l’indescrivibile, la multiforme madre natura, che vince sempre lei.

Altri meglio di me daranno conto di contenuti e trama, dello svolgersi della materia romanzata in Paraguaiano!: a me piace qui raccontarvi l’emozione di leggere e di immaginare quante altre letture, quanta memoria avrà alimentato questa scrittura geniale e folle (Secondo lui, gli argentini si erano estinti. Non sapeva né quando né perché, e comunque non gli interessava saperlo. Non era uno storico. Contro chi combattevano, allora? Su questo el Mandioca non aveva dubbi: su un esercito di cloni), che prende il mito fondativo di una nazione, con i suoi eroi fusi in bronzo, con le sue epigrafi marmoree, e lo riversa in una feroce parodia mentre qualcosa che non so dire ne vendica le moltitudini furiose, pezzenti e dolenti (Forse il Gran Carnaval non avrebbe cambiato nulla, forse tutto sarebbe rimasto come prima. Però el Chacal e la Mary avrebbero avuto la loro vendetta, e quella era una cosa da festeggiare).

E poi, poi vorrei dirvi che accade qualcosa, leggendo questa narrazione inestricabile da uno stile originale, luminoso e limpido (nella postfazione all’edizione italiana, l’autore racconta cosa ha innescato la trama di ¡Paraguayo! e io non lo riassumerò, vi dirò solo che a un certo punto Luppino afferma che “a mio parere, ogni romanzo dovrebbe essere scritto pressappoco così, in maniera non troppo consapevole”: bene, un romanzo “composto per associazioni di parole, a volte evidenti a volte celate, dissimulate dall’intreccio”, può essere stilisticamente perfetto) dicevo, leggendo questo romanzo breve accade qualcosa: secoli di retorica, quintali di retorica sciolti e dissolti, una strana liberazione.

E insomma, siccome anch’io ho una questione aperta con le fonti, con tutti i libri che non potrò mai leggere, con le sorgenti invisibili, mi piace dirvi che Paraguaiano! racconta un momento storico situato e preciso, ma anche un ciclo epico, che come tale non ha inizio né fine; che si legge come una saga e assieme come un romanzo medievale, come quanto di più prossimo a una chanson de gestes, quantunque piena di cazzi e di culi, a un western pieno di armi da taglio e pianure, di depravazioni e di addii.

Silvia Tebaldi

Post correlati

Attualità

Afrodiscendenza

America Latina