[…] e l’aria che corre dietro a ciò che vuole,
certa di infinito!
Federico García Lorca
Celestino prima dell’alba è il primo romanzo del ciclo della Pentagonía dell’autore cubano Reinaldo Arenas (Aguas Claras 16 luglio 1943 – New York, 7 dicembre 1990) a esser stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Mar dei Sargassi, nella traduzione di Alessio Arena.
Questo romanzo fu l’unico che l’autore riuscì a pubblicare a Cuba, precisamente nel 1965.
Il libro ottenne all’epoca diversi riconoscimenti, tra cui un premio letterario prestigiosissimo, assegnatogli da una giuria presieduta da un altro esponente di rilievo della letteratura cubana, Alejo Carpentier, ma la gloria si spense con la facilità con cui una candela viene spenta dal vento, e questo vento, per l’autore, fu la censura da parte del governo castrista post-rivoluzionario.
Dopo tante edizioni cariche di refusi, finalmente si è giunti a quella definitiva, l’unica corretta da Arenas, ossia quella che possiamo leggere grazie alla scelta coraggiosa, ma necessaria, della casa editrice partenopea e grazie alla traduzione di Arena, che – ci tengo a sottolinearlo – oltre che un traduttore e uno scrittore, è un musicista, e in nessun caso, come per la letteratura cubana, questo costituisce un valore aggiunto poiché, come sostiene Azahara Alonso, “la narrativa cubana è una questione di ritmo” e il romanzo in questione non fa eccezione; restituire quel ritmo nella traduzione è fondamentale, ma un compito arduo che – per quanto mi riguarda – è stato assolto ottimamente.
Celestino prima dell’alba ci racconta la storia di Celestino, un bambino con la sua tenera ingenuità, narrata dal punto di vista di un autore-testimone. Sebbene non vi sia una grande differenza d’età tra loro, lo sguardo della voce narrante è uno sguardo disilluso e più consapevole degli orrori che avvengono all’interno di quella casa avvolta nella nebbia, delle violenze di suo nonno, della sottomissione delle donne a quel “capo-famiglia” che può far di loro ciò che vuole e di fronte a una madre che ha seppellito l’amore per i suoi figli sotto la veste di una “donna scocciante”. Tutti i cugini si riuniscono sul tetto, con la voglia di uccidere quel nonno dispotico e senza scrupoli. E quel bambino? Beh, Celestino è un bambino particolare; ama scrivere poesie e ogni posto è buono per farlo. La gente ben presto lo viene a sapere, rendendo il bambino oggetto del suo scherno, delle malelingue e motivo di vergogna per la sua famiglia, che cerca in tutti i modi di silenziare la sua voce, ma Celestino non ne vuole sapere. La sua poesia va incontro alla repressione delle asce e del fuoco, ma nonostante quel dolore e quella crudeltà che investe anche chi gli sta intorno, lui continua a “cantare”, in qualche modo influenzando quell’amato e fidato testimone, portandolo a credere in quei versi.
Reinaldo Arenas, con Celestino prima dell’alba – romanzo che apre il ciclo della Pentagonía alla cui base vi è l’evoluzione del protagonista, che avviene parallelamente e sullo sfondo della storia cubana – narra la dittatura – seppur velatamente – dallo sguardo innocente di un bambino, con un unico bisogno: quello di scrivere e non pensieri qualsiasi, ma delle poesie. Il suo bisogno era talmente impellente, da spingerlo a incidere i suoi versi sulle cortecce degli alberi o sulla superficie delle foglie, e sullo sfondo la realtà di una famiglia e di una casa, entrambi prigioniere di un lento ma inesorabile deteriorarsi che si traduce in una disperazione che sfocia in comportamenti che rendono irrilevante il confine tra crudeltà e necessità di sopravvivere, sullo sfondo di una campagna in cui la natura prende il sopravvento.
Sulla base di quanto detto, non è difficile trovare dei parallelismi tra le vicende della famiglia e la storia dell’isola. Da questo punto di vista, Arenas, con questo primo romanzo sceglie di non circoscrivere la vicenda in coordinate storiche definite: la volontà dell’autore era quella di creare una narrazione antistorica del periodo precedente alla Rivoluzione, una scelta che conferisce al romanzo – in termini della riproduzione di questo contesto storico – la sua universalità, trasversalmente ciò che lo rende ancora rappresentativo e attuale.
In un corso degli eventi che si rivela indefinito e mutante, però, c’è una costante che ci accompagna in tutto il ciclo narrativo: il valore salvifico e liberatore della poesia. Nel corso della lettura, una scena mi ha particolarmente colpita: Celestino si trova ai piedi di un albero per incidere una delle sue poesie, ma questa è diversa dalle altre, è più lunga, la sua poesia infinita; la sua famiglia lo raggiunge, armata di lance e forbici, ma lui non se ne va, resta immobile, senza paura, di fronte a coloro che avrebbero voluto imporgli il silenzio: qui la sua poesia diventa rivoluzionaria, così come lo è stata quella di Arenas e dei tanti autori che si sono impegnati per il loro Paese. Arenas morì suicida nel 1990, lasciando scritto su un foglio il suo ultimo desiderio: che Cuba fosse libera.
Con questa immagine mi avvio a conclusione, con l’intenzione di sottolineare quanto questo romanzo si tinga di estrema tenerezza ma anche di grande forza, e al contempo mi riporti alla mente un monito che mi son sentita di rivolgere a chiunque mi abbia espresso il desiderio di avvicinarsi alla storia cubana: bisogna leggerla anche dal punto di vista dei suoi autori, che si sommano alle tante voci che la storia di questo Paese – e quella mondiale – ha condannato al silenzio, ma a cui si sono contrapposti con i loro versi, le loro parole, pagando a volte un prezzo molto alto. Leggere Arenas non significa fare un passo ulteriore nella scoperta della straordinaria letteratura cubana, bensì fare un passo in avanti verso la scoperta della storia di un Paese che amiamo tanto, ma che in certi casi conosciamo molto poco.
Claudia Putzu